Non stupisce leggere nelle note di produzione che si tratta di una storia vera, realmente vissuta dalla regista e attrice Valérie Donzelli, e dal suo ex-compagno, Jérémie Elkaïm. Nel film interpretano Giulietta e Romeo, una coppia molto innamorata, che improvvisamente si trova a fare i conti con un nemico molto più forte: il tumore al cervello del loro piccolo Adamo (che nella vita si chiama Gabriel e compare in un cameo). La guerra dichiarata del titolo è la guerra alla malattia.
Non stupisce, si diceva, perché La guerra è dichiarata è un film fisico, intenso, vivo.
Seguiamo Romeo e Giulietta fin dal loro primo incontro e nel momento in cui esplode la passione, dove il futuro ha i contorni di un sogno; nella loro casa, spaventati dal pianto implacabile di Adamo; nella camera sterile dell’ospedale dove il loro bimbo è ricoverato; a colloquio con i medici che si prendono cura del piccolo e risoluti nel comunicare le proprie scelte ai genitori; nei momenti di crisi, quando gli scontri verbali sono solo i primi sintomi di una relazione fortemente minata; in compagnia degli amici, o di una birra, nel tentativo di stemperare la tensione e colmare l’attesa.
Non è un film sulla malattia, ma sull’evoluzione dell’amore che lega due persone davanti a una prova così grande. La cui peculiarità sta nella verità del racconto. Quella che traspare dalla sua immediatezza, dalle emozioni che trasmette, dall’empatia che suscita. Tanto che gli unici punti deboli, dove il film perde credibilità, sono i momenti in cui la presenza della macchina da presa si fa troppo evidente e la finzione diventa palese. La furia di Romeo in mezzo alla strada alla notizia della malattia del figlio, la reazione “melodrammatica” della madre, la corsa disperata di Giulietta per i corridoi dell’ospedale sono espedienti cinematografici che spingono troppo l’acceleratore del pathos e incontrano il surreale.
Piccoli nei all’interno di una pellicola spiazzante, nei modi e nei tempi: è girata con una macchina fotografica Canon (le uniche scene in 35 millimetri sono quelle al rallenty su cui si chiude il film), con luce naturale e suono in presa diretta. Molto passionale ma mai compassionevole (non c’è tempo di piangersi addosso), è un film fedele alla vita e ribelle ai generi. Non ascrivibile a uno solo, tanti ne intreccia e reinventa, muovendosi tra il mèlo e la commedia. Alternando le lacrime e i silenzi alle risate, che pure fanno parte della nostra quotidianità.
L’intento è chiaro: usare il cinema – con i suoi strumenti: voce off, chiusura dell’iride, rallenty, musica – per raccontare la vita. Per riflettere sulle difficoltà dell’amore, sulle dinamiche di coppia e gli equilibri precari della convivenza, sulla responsabilità dell’essere genitori e l’“ingenuità” con cui spesso si affronta questa avventura. Con la consapevolezza che le nostre esistenze sono guidate da un destino (o, se preferite, da un progetto divino), che non si subisce, ma si contribuisce a compiere.
Romeo chiede a Giulietta: «Perché proprio ad Adamo doveva capitare questa malattia?». «Perché siamo in grado di superarla», è la sua risposta.
Leggi la trama e guarda il trailer del film
Mi piace
La messa in scena passionale ma mai compassionevole e retorica. La verità del film
Non mi piace
Le scene in cui la finzione diventa palese
Consigliato a chi
Ha voglia di lasciarsi spiazzare da un film che racconta l’evoluzione dell’amore attraverso il filtro della malattia. E che, nonostante tutto, è un inno alla vita.
Voto
4/5
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