Non regge il confronto con l’impossibile “Major Chords” fra De Niro e la Minnelli dello scorsesiano “New York, New York” (1977), né con la drammaticità del musical di Bob Fosse “All That Jazz” (1979), sfrutta la struttura stagionale del Kim Ki-duk del 2003 (“Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”), mentr’il conclusiv’effetto “Sliding Doors” (1998) non è tra due mondi paralleli bensì alternativi (la realtà vera e il sogno fantasticato), inoltre i lavori dei due protagonisti sono un’allegoria metacinematografica tanto car’all’Academy: lui l’audio, lei il video. Un “film on demand” per la notte degl’Oscar e così è stato.
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