Se si considera per un istante l’idea che sta dietro a La leggenda del cacciatore di vampiri – Abraham Lincoln di giorno faceva il presidente degli Stati Uniti e di notte ammazzava non morti per vendicare i genitori – è difficile immaginare un film impegnato e dal profondo messaggio politico. E invece la nuova opera di Timur Bekmambetov, russo di nascita, americano nell’animo, è un film d’avventura inaspettatamente serioso: non si limita a proporre una “alternate history” (a suon di paletti nel cuore) della vita di Lincoln, ma prova anche a trasmettere messaggi di tolleranza e uguaglianza. Oltre ad attaccare con violenza, tramite metafore e simbolismi mai troppo sottili, chiunque remi contro alla “missione di libertà” degli Stati Uniti. È proprio questo pasticcio tra presupposto caciarone e smaccata operazione ideologica a frenare quello che sarebbe potuto essere un ottimo prodotto di intrattenimento.
Il canovaccio è quello di un qualsiasi film di supereroi, a partire dall’incipit che racconta l’infanzia di Abe (Benjamin Walker, incredibile somiglianza con il Presidente ma espressività e carisma pericolosamente vicini allo zero), bianco ma amico dei neri e per questo animato da afflati libertari fin dalla più tenera età. Finché un giorno si mette contro lo schiavista sbagliato, il quale per ripicca si mostra per quel che è davvero (un vampiro) e uccide i suoi genitori. Lincoln giura vendetta, ma i suoi tentativi rimangono sterili finché non incontra Henry (Dominic Cooper), cacciatore di vampiri che lo inizia all’arte del paletto nel cuore. Armato di un’accetta e della sua rabbia, Abraham parte per l’avventura della sua vita, nel corso della quale si trova diviso tra la voglia di violenza sui non-morti e la spinta a costruirsi una normale vita da avvocato. Bekmambetov segue così l’intera parabola esistenziale del Presidente, dagli studi legali all’ingresso in politica, dal matrimonio con Mary Todd (Mary Elizabeth Winstead, “go-to girl” dell’horror odierno) alla battaglia di Gettysburg fino a quella fatale serata a teatro.
In mezzo, ovviamente, poca storia e molta fantasia: al centro di tutto c’è Adam, il capo dei vampiri (Rufus Sewell, ovvero come sprecare il proprio talento), il cui sogno è la conquista del mondo; lo scontro tra lui e Abraham nasce come questione privata per diventare fulcro del conflitto tra Nord e Sud, con tanto di finale epico a Gettysburg: i sudisti, ovviamente, sono i cattivi senza scrupoli, alleati dei vampiri e quindi da sterminare senza pietà. Il tutto raccontato con il solito mix di azione altamente stilizzata e violenza grafica che caratterizza le opere di Bekmambetov; che purtroppo dietro la macchina da presa fornisce una prestazione mediocre, tra eccessi di slo-mo (spesso usata per rendere comprensibili scene altrimenti confuse), acrobazie che sembrano uscite da Devil May Cry e un pesante uso di CGI. Si ricordano un paio di sequenze da incorniciare – tra cui il duello finale: buon segno, tutto sommato – e tante, troppe scene di contorno che allungano il minutaggio senza aggiungere nulla al film.
Non che ci si annoi: pur nella sua ingiustificata seriosità, La leggenda del cacciatore di vampiri è un film di intrattenimento che funziona, almeno finché non lo si guarda con troppa attenzione (e si passa sopra a certe goffaggini ideologiche). Per una pigra serata estiva è l’ideale.
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Mi piace
L’atmosfera del film: l’America della Guerra civile è ritratta con maestria, soprattutto nei momenti più meditativi. Un paio di ottime sequenze action.
Non mi piace
Una sceneggiatura piena di buchi e inutilmente seriosa. L’eccesso di CGI, slo-mo e altri “trucchetti” di regia.
Consigliato a chi
Vuole staccare il cervello per un’ora e mezza e godersi il massacro.
Voto: 2/5
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