C’è chi ne rimane incantato, chi quasi disgustato, chi non regge le tre ore di proiezione. Del resto, se c’è una verità condivisa e condivisibile su La moglie del poliziotto – Premio Speciale della Giuria all’ultimo Festival di Venezia – è che quello di Philip Gröning è un film sofferto, da tanti punti di vista. A cominciare dal suo tema centrale: la violenza domestica.
La storia – divisa in 59 capitoli per un totale di 175′ – è quella di una famiglia apparentemente felice, ripresa nella sua quotidianità, a cui si alternano sequenze rurali (con l’obiettivo che si incanta sui dettagli del paesaggio o segue i movimenti degli animali) e brevi flash della vita di un anziano signore (il protagonista “da vecchio”), ritratto nella propria cucina o sotto la neve, in mezzo a un’immensa distesa bianca. Un film di fatto privo di una sinossi integra e lineare, ma costituito da tanti brevi flash che progressivamente suggeriscono il marcio che si annida entro le mura di casa, senza mai (o quasi) esplicitarlo direttamente. La verità sta nei dettagli, in quei lividi che si intravedono sul corpo della moglie del poliziotto, nella richiesta di fare pace col papà da parte della loro Clara (che ha tre anni eppure si sente cattiva), nei capelli che continuano a fluttuare nell’acqua, nella risata isterica dell’uomo e nelle sue mani, che prima accarezzano, poi si ritraggono e infine colpiscono.
Se da un certo punto di vista la pellicola diventa esasperante – “somministrata” a piccole dosi, che lo spettatore tenta di mettere insieme e interpretare, non sempre riuscendoci, spesso rimanendo spiazzato – dall’altro si viene rapiti dalla regia illuminata di Gröning, che nel modo di piazzare la macchina e nello sguardo estetico ricorda molto da vicino Terrence Malick. Superba la sua direzione degli attori, specie quando si tratta di guidare davanti all’obiettivo le gemelline Pia e Chiara Kleeman, interpreti della piccola Clara. C’è molta bellezza ma anche molta sofferenza nel suo film. Molta tenerezza ma anche molta violenza, laddove la tensione viene amplificata dall’attesa di quel qualcosa che deve per forza accadere, e invece non accade mai, o almeno non come ce lo si aspetterebbe. C’è molta densità (di immagini, contenuti, messaggi, particolari) ma anche molto enigma. C’è che La moglie del poliziotto è un film difficile da ingoiare, che richiede uno sforzo ancor maggiore per essere assimilato.
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Mi piace
La regia illuminata di Philip Gröning e la densità del racconto. È un film di una bellezza estetica disarmante.
Non mi piace
I tempi troppo lunghi ed esasperati con cui viene somministrato il racconto.
Consigliato a chi
È disposto ad affrontare un film così difficile da ingoiare, per lunghezza e “durezza”. A chi apprezza la regia di Terrence Malick: quella di Gröning la ricorda molto da vicino.
Voto
4/5