“La notte del giudizio-Election Year (The Purge: Election Year, 2016) è il quarto lungometraggio del regista di Brooklyn James DeMonaco,
Intrattenimento estivo sul grande schermo è opera estrema nel BelPaese per una distribuzione penosamente in ribasso continuo, dove le multisala aperte cercano di tenere il ‘cartellone’ con i pochi film che vengono proiettati (con tendenza a riproporre a metà settimana, a prezzi bassissimi, pellicole dell’ultima stagione).
Le trilogie sono sempre di moda e al terzo atto il regista ‘esalta’ l’epurazione (come dal titolo originale) nella notte dello sfoco come metafora sanguinolenta e raccapricciante della società a stelle e strisce (e non solo). Un vociare forte fatto di muri sconnessi e pallottole perforanti dove ogni ghigliottina linguacciuta ricade su una società disperata e dispari. Il virus del potere ad ogni costo è lo sfogo di chi usa le armi e di chi usa la testa per solo tornaconto.
Sperperare l’animo intelligente in un notturno da bocconcini
Formaggino fatti mangiare che voglio divertirmi per bene;
Ore piccole sorbite per gli ‘sfoghisti’ mentre ai padri fondatori pullula il sangue;
Giudizio dovrebbe essere, notte fonda per le prossime elezioni;
Onirico il mondo e sogno infranto ma una donna ci crede ancora
Il film appare disunito nel combinare suspense, azione e politica ‘non correct’: tutto in un lungo respiro d’ansia per diradare il messaggio di una nazione piena di contraddizioni e alquanto incerta sul da farsi. L’uomo vuole risolversi il problema con lo sfogo morale ma soprattutto con una cruenta di azione di sangue che distrugge ogni velleità di giudizioso atto di intelligenza e di rapporto ‘sapiens’. Siamo al culmine di un baratro post parto-costituzione; cade ogni freno inibitorio detto dall’alto , tutto è concesso. “Ho appena ucciso mio padre e mia madre”, è il lasciapassare per ogni scorribanda di teatro sanguinolento.
Il poco rimasto da una notte insipiente e spaventosa nel ‘ridicolo’ umano. ‘Vieni giù formaggino che ho voglio di mangiucchiarti…’: certo un appetito divorante dove l’intelligenza è solo misurata per chi guarda il grande schermo.
Risibile oltre il contesto narrativo la scena dei padri fondatori in chiesa: eccessivo il sarcasmo che sfocia nella pochade di in un film di altro genere e il sorriso a denti stretti fa contrasto con una sentenza di morte. E “il silenzio degli innocenti” ( a cui il legame tenta vanamente di copiare) si ridesta per un’apostrofare di taglio della gola come liberazione da applausi dei padri fondatori, applausometro di una fiction televisiva teatrale con la bava gocciolante di sangue.
Il film tende al rimpiattino continuo tra lezione catartica del buon negoziante di colore che si lega col messicano ambizioso di libera vita e bambine cresciute ( più o meno bene) che cercano vittorie spalmate su auto piene di lustri e di armamenti da protezione . Chi ha la maschera dello sfogo perenne e chi ha la faccia da cattiva che vuole salvare la giusta persona per sperare in un sogno dopo la notte dei ‘morti viventi’. È un fuga dalla brutta chioma tentatrice dello sfogo (che dire…di uno sfracellamento che oggi posta sui social come volume di ubriachezza sanguinolenta di una società che non pone limiti a se stessa…!).
La notte del giudizio è la notte americana per un’elezione che respira di nuovo per sperare che il nuovo arrivi dalla mattina assolata delle notizie televisive. Dalla padella alla brace? Chi può dire…che il peggio è dietro di noi. Il giorno del voto.
“Il sogno americano è vivo” (quasi) proclama Joe Dixon come per intenerire il pubblico che osserva l’apologo di un incubo che riesce a svegliare ogni uomo dormiente.
“Mica siamo supereroi”: ecco che il cinema assurdo del sogno inverso viene ‘paventato’ come film d’intrattenimento ma i veri eroi (filmici) sono da altre parti. Confusione di generi e confusione umana.
Attori in parte con Frank Grillo (Leo Barnes) e Betty Gabriel (Laney Rucker) che tengono il passo per convincerci della storia.
Regia ordinatamente fruibile per il genere.
Voto: 6+/10.