La notte di 12 anni: la recensione di loland10
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La notte di 12 anni: la recensione di loland10

La notte di 12 anni: la recensione di loland10

“Una notte di 12 anni” (La Noche de 12 Años, 2018) è il terzo lungometraggio del regista di Montevideo Alvaro Brechner.
Film documento sul potere dittatoriale tra il 1973 e il 1985. Quando la notte buia di un paese vorrebbe trasformare l’idea e l’ideologia oltre che l’uomo stesso. Il carcere come simbolo integrale di chiusura al mondo, totalizzante all’estremo per chiudere il cervello.
Nella bufera triste di una dittatura distruttiva e castrante il film rende la visuale triste e addolorata di sguardi esausti, storie sfinite e sogni ancora mai domi.
La scansione temporale, gli anni e i giorni scanditi in centinaia e migliaia danno il senso a temporale quasi vuoto di un silenzio costante tra mondo esterno e l’interiorità di ciascuno . Un claustrofobia silente, scarna, acerrima e piena di nemici: lo stato politico e ciò che si dimena in un assalto vero all’integrità morale e civile di un intero paese. L’Uruguay subisce un danno psicologico che ancora oggi percuote le coscienze di molti se non di tutti.
787: numero di Josè Mujica (Antonio de la Torre), il numero delle idee, del dribbling e dell’abbraccio alla madre.
815: numero amico di Eleuterio Fernàndez Huidobro (Alfonso Tort), del contatto e dei colpi per dialogare, dell’incontro con moglie e figlia.
4323 giorni è il tempo di una notte infinita della detenzione dei tre ‘tupamaros’ catturati. Un obbrobrio scientifico contro la dignità umana e l’azzeramento di ogni forma igienica, alimentare e soprattutto di contatto con l’esterno. Umiliazione massima, sconfitta perenne e psicologie annientate: questo è lo scopo della dittatura per i tre, Josè, Mauricio e Fernàndez.
Film non continuo, sparso con una prima parte scarna e di poche parole, buia e carceraria, poi una seconda parte centrale dove avvengono sogni e arrivano incontri, strane situazioni e scritture amorose, malattie e controlli evasivi; infine una parte finale di chiusura, dopo un referendum inopinatamente vinto, il carcere si apre con luci e abbracci (le immagini di ‘repertorio’ tv sono ridotte al minimo indispensabile).
Un film fatto di scatti e di salti, in una denuncia angosciante tipica di certa cinematografia ante-litteram (ecco che il verso a certe pellicole ‘sporche’ di qualche lustro fa, si disegna in capolino).
Una dittatura, un fuoco contro, le psicologie nulle e il cervello da rasare a zero. Il nuovo corso uraguayano dal 1973 evoca spasmi e paure mai sopite è una chiusura totale alla evocazione libera. Tutto annientato. Il potere della dittatura civile militare parte dal 27 giugno 1973 con il colpo do stato del Presidente Bordaberry.
La repressione fu totale contro civili, popolazione, ribelli e uomini contro. Tutto indigesto per chi avesse voluto mettersi non a fianco. La pena per tutti fu carissima. La luce arrivò dopo molti anni.
Da lì che parte il film o meglio dagli arresti dei dodici ìtupamaros’ e delle loro ribellioni. Anche se la situazione è più complessa, il film dirama la storia di tre di loro che riescono a sopravvivere a tutto e a redimere in alto (senza giochi e politiche misere) il senso di libertà e sopravvivenza per avere una scala a livello politico di comando. E arrivare ad essere eletto presidente del Paese a 75 anni. Quindi parliamo di fatti assolutamente recenti.
Cast che rende la situazione ma non incisivo, presenza che non buca completamente lo schermo. Le presenze femminili allargano lo sguardo di un film non facilmente commestibile.
Regia non compatta e non sempre lineare, i movimenti oltre il buio e gli orizzonti rendono le inquadrature efficaci e varie. Le riprese riescono a interagire tra contrasti e idee.
Voto: 7/10 (***).
Quando il voto supera i difetti per raccontare la ‘storia’ cruda e reale.

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