La quinta stagione: la recensione di Giorgio Viaro
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La quinta stagione: la recensione di Giorgio Viaro

La quinta stagione: la recensione di Giorgio Viaro

Peter Brosens e Jessica Woodworth, il duo di autori de La quinta stagione, lavora da anni sulle contaminazioni tra documentario e video-arte. Questo può aiutare già in partenza ad affrontare il loro film, in concorso all’ultimo Festival di Venezia.

Siamo in una piccola comunità agricola della provincia belga, dove si sta per celebrare il rito di fine inverno: una grande pira infuocata saluterà la stagione più ingrata dell’anno e accoglierà la primavera. Solo che la pira non prende fuoco, e i presagi di sventura si rivelano esatti: gli animali sono sterili, la terra pure. Il cibo comincia a scarseggiare e, in mancanza di meglio, si mettono da parte pure le mosche. Sarà mica che l’ultimo arrivato, il tizio che vive nella roulotte con un figlio paraplegico, è un menagramo? Urge porre rimedio…

La storia è questa, ma solo a spanne. Secondo le convenzioni della video-arte, il film procede per quadri autosufficienti e contraddittori – a volte grotteschi, a volte lirici -, quasi sempre privi di logica narrativa. Il confine tra il paesaggio agricolo e i personaggi è via via più labile, sia dal punto di vista visivo (i colori, le forme, si confondono), che dei comportamenti (più infertile e oscura è la terra, e più brutali sono i modi). Poi, nell’ultima parte, si capisce finalmente dove si vuole andare a parare, quando La quinta stagione diventa una specie di incrocio tra The Wicker Man e Calvaire, assumendo in modo chiaro le convenzioni del cinema horror, e trasformando l’inquietudine seminata fin lì in violenza esplicita.

Al Lido, per commentare il film, erano stati scomodati i nomi più diversi, da Werner Herzog a Béla Tarr, passando per i dipinti di Bosch (su quest’ultimo punto è facile assentire). Mah. Come in una mostra pittorica, alcuni quadri piacciono di più, altri meno. Il film c’è e non c’è, e comunque arrivare alla fine è roba per anime pazienti.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
Se si accettano i ritmi lenti e la narrazione irregolare, è un film da buongustai

Non mi piace
Arrivare in fondo richiede pazienza, e sospensione della razionalità 

Consigliato a chi
A chi ha amato molto Calvaire di Fabrice Du Weltz. E ovviamente a chi vuole sperimentare un cinema diverso, al confine con la video-arte

Voto: 3/5

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