La regola del gioco: la recensione di loland10
telegram

La regola del gioco: la recensione di loland10

La regola del gioco: la recensione di loland10

“La regola del gioco” (Kill the Messenger, 2015) è il quinto lungometraggio del regista newyorkese Michael Cuesta.
Un film di denuncia, di contraffazione, di silenzio, di potere e di scambio di informazioni: tra narcotrafficanti e morte, ribelli e armi, denuncia e giornalismo in prima pagina. Una guerra che arriva molto molto in alto che coinvolge Cia, politica, sicurezza e presidenza e dove una piccola redazione di un giornale e il ‘cacciatore di notizie’ Gary Webb mette a soqquadro l’informazione tutta (con alcuni blasonati quotidiani americani tra il il L.A.T.) e i pezzi da novanta dell’Intelligence. La cocaina che arriva in California è per avere denaro (sporco) per dare in cambio armi ai ‘Contras’ nicaraguensi. Una permuta che la stesso governo appoggiava (un mercato di illegalità per combattere il governo sandinista e appoggiare quindi i ‘controrivoluzionari’) e di cui l’amministrazione Reagan venne coinvolta. Ma tutto venne ‘messo a tacere’ al secondo mandato presidenziale (che riuscì) mentre il ‘giornalista’ saputo tutto rischiava la sua vita girando e cercando notizie da prigionieri, malfattori e mercanti di droga. Un ‘bel’ inghippo che lasciò la Cia in grande subbuglio e diede il testimone (si fa per dire) alla successiva presidenza Clinton fino ad arrivare agli anni novanta.
Gary Webb pubblicò sul ‘San José Mercury’ l’indagine ‘Dark Alliance’ sul mercato droga-armi tra Cia e paesi centroamericani. I rivoluzionari e i potenti erano a braccetto. Uno scandalo interminabile che costò al giornalista californiano problemi a dismisura all’interno del suo ‘piccolo’ giornale’, con la famiglia e con i ‘poteri forti’ politici e informativi.
Il film traccia l’excursus con intelligenza e gioco delle parti inserendo filmati dell’epoca, pezzi televisivi e momenti cruciali con sovra-scritte e date fino all’amaro epilogo della storia (Gary fu trovato morto, si pensa al suicido, in una camera d’albergo nel 2004).
Durante la presidenza Clinton lo scandalo Lewinski riuscì a nascondere (in buona parte) tutto quello che fu il mercato (perché tale fu) cocaina-armamenti (eredità proseguita) con la Cia coinvolta e il suo massimo esponente. Uno scandalo nello scandalo. E il potere garantisce la sovrastruttura del potere stesso. Infatti nel film si dice ad una certo punto: ‘il potere piace, il potere è droga, il potere comanda sul potere’:. Tutto orgiasticamente dirompente e implosivo. L’esplosione verso i media è solo (alla fine) pagliuzza di una sfida dell’Intelligence e del Suo Supremo Comando. Tutto robustamente dentro dove ogni sedia trema(va) e il cui resoconto ‘investigativo’ fece tremare i polsi a molti ma la DEA (agenzia federale Antidroga) ebbe filo da torcere proprio dal supremo comando (apunto i poteri che gestiscono i poteri).
“Buongiorno”, “ Chi cazzo sei” risponde Webb al primo apparire aprendo la sua porta di casa. Questo fa capire da subito l’atteggiamento di chi comanda e di chi non si fida (mai) e cerca nell’altro il suo nemico o meglio l’illegalità compiacente dei piani alti. E di fronte il piccolo giornalista con il grande comando: la guerra impari che dal folgore e successo popolare di Gary (verrà insignito del premio ‘Giornalista dell’anno’ nel 1997) riesce (con enorme facilità) a farsi nemici dappertutto tra gli stessi che lo premiavano (l’invidia dei grandi ‘network’ e ‘giornali di fama’ che non avevano la notizia ‘bomba’) naturalmente e riesce a fare un discorso ‘breve’ e ‘acido’ (il film dimostra ognuno contro se stesso senza barriere di orti o paradisi vari) che riceve applausi minimi praticamente la ‘sua famiglia’. Il resto è muro assoluto come il muro resistette dentro la Cia e il Governo. Un ‘Gate’ che riesce a seguire ogni storia americana e ogni nemico mai reso pubblico. Tutto questo Gary Webb pagò il fango più lurido che fece vedere a tutti con la propria vita. La corruzione è propria delle notizie nascoste, l’inconfessabile verità è figlia di meschinità incorruttibili dentro ogni stanza ‘ovale’.
“Voi americani non volete cocco e e banana ma volete cocaina”: ecco l’amara verità che il pubblico ‘americano’ non ha gradito al cinema. Il film in patria è stato un’insuccesso: il ‘documento’ della politica di trentanni fa non ha smosso nessuno e non ha coinvolto nessuna mente per poter almeno sapere di un giornalista morto (da solo) e forse suicida. Uscito negli Usa nell’ottobre dell’anno scorso (dove non ha recuperato neanche il budget) esce in Italia con mesi e mesi di (colpevole) ritardo in un giugno già predisposto per altre platee (‘Jurassic World’), per carità va benissimo anche a chi scrive, ma soprattutto con la sottintesa intenzione di un film di ‘magazzino’ e del ‘resto che rimane per riempire il ‘povero’ calendario del nostro ‘Bel-Paese’.
Jeremy Remmer (Gary Webb), escluso dal ‘blockbuster’ di Mission Impossible o da ‘rifacimenti’ Bourne, ha un piglio completo in questo film e il suo personaggio regge bene l’intera storia con gli incontri-scontri di persone poco raccomandabili. Un’interpretazione che si ricorda pur con qualche sbavatura in alcune sequenze (soprattutto in abito familiare e i siparietti con il figlio adolescente con alcune incursioni un po’ troppo ‘melò’) mentre una maggiore asciuttezza avrebbe conferito alla pellicola un carattere e levatura non confondibile). Comunque è l’intero cast che dà una mano tutto il contesto: da Ray Liotta (John Cullen)a Rosemarie DeWitt (Susan Webb), da Andy Garcia (Norwuin Meneses) a Michael Sheen. Si deve dire che il film ‘inchiesta’ parte da lontano nel cinema americano e questo prosegue nella linea con un regista che si è già adoperato nei film tv di ‘spie’ e ‘personaggi sconosciuti’ (‘Homeland’). Da segnalare la buona ‘fotografia’ di Sean Bobbitt (collaboratore delle pellicole del regista britannico Steve McQueen).
Voto: 7½ .

© RIPRODUZIONE RISERVATA