La scuola cattolica: la recensione di loland10
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La scuola cattolica: la recensione di loland10

La scuola cattolica: la recensione di loland10

“La scuola cattolica” (2021) è il settimo lungometraggio del regista toscano Stefano Mordini.
Film contrastato, schematico, riluttante, sadico, selettivo, ambiguo e lascito di commenti.
Un’ambientazione di grande effetto. Luoghi, modi, strutture, rioni, interni e mode ricostruiti in modi capillare: un’immersione totale nei vizi, contorni, sguardi e riferimenti degli anni settanta.
Una storia fatta di scatti, di regole, di ordini, di violenza, di fisicità, di orrore e, soprattutto, di costrizioni inespresse. Una conoscenza ‘virile’ nata a scuola, tra lezioni e sevizie, tra ragionamenti sballati e bullismo retrò di grande presa cinematografica.
La regia di Mordini è fortemente attaccata ai personaggi, ai loro giri notturni e non, con una presa scontrosa, cattiva e fuori-schermo. Certo ognuno pare ingabbiato, schematizzato e monocorde, ma l’intento, è certamente quello di rendere evidente l’aberrazione comportamentale e l’agire psicologico in qualsiasi frangente. Da un discorso scolastico ad una festa, da uno sguardo all’uso dei corpi .

Un film che ha suscitato tante polemiche, sul modo di raccontarne i fatti fino al divieto (ultimo) ai 18 anni. I punti di vista, la successione, gli eventi con escalation di mesi e ore, il montaggio secco, la ridondanza in alcune affermazioni, la lunga parte finale, la teatralità, la scelta degli adulti, i gesti violenti. Gli atteggiamenti e i modi dei ‘ragazzi’ dominano su tutto, in ogni mascolinità diseguale, non lineare e perversa. Nottetempo e da ieri, negli anni settanta (siamo nel 1975), i luoghi comuni e il gioco al massacro producono dicotomie e mistificazioni nei comportamenti fisici e psicologici. Il timore verso gli altri e la paura procurano danni irreversibili. ù
Droga non si vede ma si percepisce chiaramente. Alcolici veri non si vedono ma si odorano le scorciatoie. Denaro non si vede ma si sente il suo segno. Fumo e birra tra feste private, compleanni e abbuffate più o meno amichevoli. Riunioni consociate tra ‘figli di papà’ (come si raccontano) dove il relativismo delle regole è deviato tra le rigidità ‘morali’ scola statiche e quelle delle mura di casa. In realtà tutto nascosto da una superficie patinata: un professore che non vede il figlio, una mamma che va a letto con uno studente, un sacerdote che frequenta prostitute, ragazzi con la pistola a fianco, deboli che soccombono, vulgata abitudinaria, un padre omosessuale che lascia moglie e figlio, famiglie dilaniate da morbose tristezze.
Un film che soccombe alle sue idee e si esalta alla sua spinta; rompe lo schermo rischiando di naufragare negli intenti.
Nella Roma del 1975 si riepilogano gli eventi di alcuni ragazzi (di famiglie agiate) e del loro destino abnorme, pieno di contraddizioni, fuori da ogni morale e pieni di grandezze sconsiderate che portano a violenze, sevizie e morte (massacro in una villa del Circeo): una storia di pochi mesi.

Tutto il gruppo giovanile è ben assortito e convincente; i loro volti fortemente espressivi, rimangono oltre lo schermo; Luca Vergoni (Angelo Izzo) e Francesco Cavallo (Gianni Guido) riescono a infondere paure e sguardi sghembi con movenze raccapriccianti e nudità terrificanti. Si aggiunge lo sguardo terzo del morboso Giulio Pranno (Andrea Ghira) che silenzia ogni parete della villa. E’ l’ambientazione stessa che distrugge ogni vacua possibilità di redenzione. E all’apparire in controluce del cartellone di ‘Profondo Rosso’ (uscito in Italia nel marzo del 1975) in un cinema (dove i ragazzi vorrebbero andare con le amiche Donatella Colasanti -Benedetta Porcaroli- e Rosaria Lopez -Federica Torchetti- ma le convincono a cambiare idea) si ha la netta sensazione di un gioco al rimbalzo tra la finzione e la realtà crudissima che da li a poco si sarebbe consumata (istant-movie ed eventi del Circeo in uno squallore orribile).
I ruoli degli adulti: Riccardo Scamarcio (Raffaele Guido), Valeria Golino (Ilaria Arbus), Gianluca Guidi (Ludovico Arbus), Valentina Cervi (Eleonora Rummo), Fabrizio Gifuni (Golgota) sono minimi e di facciata: con risvolti negativi e moralità dubbie. Nulla è giustificato: dai genitori ai figli.
Fotografia di Luigi Martinucci scolorata, oscura, con lampioni.
Regia di S. Mordini: efficace, legata, da soppianto. Voto: 6 (**½) -cinema ineguale-

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