Ingrid (Julianne Moore) e Martha (Tilda Swinton) erano care amiche da giovani, quando lavoravano per la stessa rivista. Ingrid è poi diventata una scrittrice di romanzi semiautobiografici mentre Martha è una reporter di guerra e, come spesso accade nella vita, si sono perse di vista. Non si sentono ormai da anni quando si rivedono in una circostanza estrema ma stranamente dolce.
Al suo primo film in lingua inglese, girato a New York, Pedro Almodóvar adatta per il grande schermo il romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez e costruisce un lungometraggio che è anzitutto un atto d’amore alle sue interpreti, con quella devozione per ruoli e personaggi femminili che abita la totalità della sua filmografia. Rispetto alla media di un film di Almodóvar, The Room Next Door, vincitore del Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia, è molto più parlato, affollato com’è di scambi di battute e fitte discussioni ad ampio raggio, ed è tangibile il piacere di mettere in bocca a due attrice magnifiche dei dialoghi profondi e privati, che equivalgono ad accarezzarne e progressivamente svelarne l’intimità per tramite dei loro personaggi (con una fede incrollabile nel potere del cinema di scavare nei volti, nei visi e nelle inflessioni di parole e gesti come fossero oggetti da setacciare romanticamente, a cui dare vigore attraverso la macchina da presa).
Analogamente a quello che fu il suo testamento autobiografico, il capolavoro Dolor y Gloria, quello che esce in Italia dal 5 dicembre con il titolo La stanza accanto è un film sull’appassimento dell’esistenza e in questo caso addirittura sul tema del fine vita, con l’eutanasia che occupa una porzione decisiva del racconto e arriva a investire la totalità del sentimento del film e il suo discorso sui legami e i contatti vitali che sopravvivono anche al cospetto dell’approssimarsi della fine e dell’ultimo “tratto” da percorrere.
Il consueto mélo almodovariano sconta qui una maggiore rigidità, una confezione in parte molto asservita ai lunghissimi momenti parlati, con tantissimi flashback che in parte zavorrano il racconto, ma anche la consueta capacità del regista spagnolo di far emergere la commozione e la passione anche laddove ci si aspetterebbe il rigore e la compostezza, e di illuminare coi suoi colori accesi e vivaci anche gli interni più asettici.
Gli omaggi cinefili de La stanza accanto si sprecano, da Buster Keaton a I morti, racconto finale di Gente di Dublino di James Joyce adattato per il cinema da John Huston in The Dead, con tanto di nevicata finale, ma come sempre nella tavolozza di Almodóvar l’amore viscerale e totalizzante per il cinema non è mai la coloritura preminente, ma solo un’insieme di sfumature in grado di arricchire un quadro d’insieme più grande (le protagoniste hanno il nome di Ingrid Bergman e della Martha di Fassbinder, tra l’altro).
Il cineasta spagnolo ha sottolineato il piacere di ascoltare sul set le performance delle sue due attrici, che è ovviamente anche degli spettatori, e che ha portato lui stesso e i suoi collaboratori a commuoversi vedendole all’opera durante le riprese. Swinton e Moore, prototipi femminili in teoria ben lontani dalle tipiche donne almodovariane del passato, diventano nelle sue mani non solo argilla da plasmare ma anche affidatarie della sua visione del mondo, che non risparmia stoccate al bigottismo conservatore più retrivo e si concede soprattutto una presa d’atto pacifica e rassegnata, ma non per questo non luminosa, di un presente al collasso.
Foto: El Deseo
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