La villa: la recensione di loland10
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La villa: la recensione di loland10

La villa: la recensione di loland10

“La casa sul mare” (La villa, 2017) è il diciannovesimo lungometraggio del regista di Marsiglia Robert Guédiguain.
Film intimo, quasi corale, di rumori di fondo, di contrasti e di età diverse. Le finestre si aprono su uno spazio-temporale asettico e vuoto dove ogni istante si perde in una barca che arriva dal largo.
Lungomare, porticciolo, pesca, balcone, misto, pillole, silenzio, morte, affetto, strani triangoli, età diverse e teatro di una vita semiseria o ancora da recitare.
Ad un balcone, verso il mare siede un uomo vecchio, un padre, una sigaretta, un’ultima sigaretta per godere il posto è il ricordo di una vita intera. Un colpo, una crisi e le mani penzolano dal tavolo. Ultimo spiraglio o ultimo tentativo per rivedere o meglio riavvicinare i suoi figli e la famiglia com’era.
Casa che stende il suo spiraglio di fronte al Mediterraneo. Lontano da altra parte si scorge Marsiglia. Tre figli si ritrovano, una figlia attrice con il doppio di lascito, due figli maschi che non discutono di eredità. Lei non accetta di firmare: ‘vuole il mio perdono dopo quello che è successo….non voglio nulla dividiamo per tre dal notaio’. Ecco che i ricordi sono i nemici di un nucleo lacerato, rissoso è pieno di risorse passate.
Affacciati in una piccola baia i finti proletari giudicati borghesi. ‘Basta avere il cervello a destra e il cuore a sinistra’ dice un fratello. Intellettualismo perdente, becero vizio di chi la sa lunga ma non conosce o fa finta di no conoscere il teatro della vita. E lei che racconta se stessa quando sale sul palco, dopo tanti anni trova il disagio di un,posto che odia. Incontri di un’ideologia lontana e da azzerare nel presente di tutti. Il padre intanto, fermo e senza parole, pare una sentinella a tutto. E il treno ‘locale’ passa sopra il ponte che sovrasta il piccolissimo borgo (‘villa’) di case insieme. Una volta di giorno, un’altra per il ritorno, ancora una, ancora un’altra, fino ad inquadrarlo sempre come un orologio e le sue lancette, ogni volta si guarda il quadrante, fino al notturno, e nel farsi sera la vita aspetta giudizi severi. Quando l’obbligo e il ricordo si mescolano il treno si sente, ma nessuna immagine se ne avvede, una tristezza vedere che il tempo è passato e nulla conta più.
Sortite, scusanti, saluti, sotto tracce, spettinati, sole appassito e sarcasmi amorosi: in un vuoto interiore la parafrasi di una vita e di quello che resta si racconta con acida mestizia e con colori da cercare, tutto con passi lenti e passeggiate da ripulire. Il bosco e i piccoli sentieri sono oramai chiusi. Si deve ripulire, si deve fare chiarezza, si deve ascoltare, si deve vociferare. Ma la vita è di un quadro senza un panorama accaldato. Anche la pesca pare, anzi è, resto di quello che fu come il ristorante che fa leva sui ricordi più che sul presente. Il deserto è tra noi. Due fratelli e una sorella non paiono distanti. L’amore è quello distante negli anni. Il professore con una sua studentessa (che poi lascia, chi lascia…), Angéle con una morte che sfianca con il pescatore che è ragazzo, Armand si tiene il luogo (e non vuole lasciarsi). Tutto in crisi dal popolo alla borghesia che scompare. Il padre immobile e poi pare muoversi come un lascito per i figli e per noi. È lui che fa il regista per chi guarda e chi vuole ascoltare.
Angèle (Arianne Ascaride) e Armand (Gerard Meylan) con Joseph (Jean-Pierre Darroussin), tre fratelli, tre vite, tre ricordi oramai lontani e l’alta marea che ripulisce tutto o quasi. Un bicchiere è una sigaretta. Il fumo come assolo di pausa alla tristezza o fine di una vita. Moglie e marito distesi sul letto, il figlio è gli amici, tutti respirano dentro una sigaretta (meno uno) e il cerchio non si chiude…
Storie che incrociano la famiglia, la giovinezza, la politica, la vita, la scena, il teatro, il sogno, la morte e l’onesta schiera di persone in un posto sperduto tra presente e un pasto riflusso dalle onde del mare. Un tempo scandito, un mare in inverno, un freddo che si insinua tra occhi sparsi e doni natalizi.
Una famiglia dove tutto succede. Morte, amori, scambi, incastri, idee, culture, ritorni e accettazioni. Il laicismo esaspera e ogni cosa si allontana sulle onde di un mare poco assolato.
La cinepresa sulla vita. Parafrasando il maestro Alfred Hitchcock, l’inquadrare ora dal balcone, ora da una finestra, ora sul mare; i tempi si dilatano e si accorciano tra un treno, un ricordo, una pesca e un incontro amoroso.
Mesti i giudizi, severi i rapporti, amori tra miserie e rimasti.
Attori: tutti paiono ad agio e anche mura, barca, oggetti e tavoli parlano tra loro come commensali.
Regia di introspezione e di tranquillo movimento in avanti.
Esilio di un cinema retrò che racconta la provincia settaria. Introspettivo e fugace.
Prima parte di grande presa poi il da farsi ha diverse strade in riva al ristorante.
Voto 7/10 (***½)

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