Le onde possenti dell’oceano si aprono di fronte allo sguardo del piccolo Lancelot Perrin, che osserva la sconfinata distesa del mare sotto un cielo nuvoloso. Già dall’incipit, questo Oceans – La vita negli oceani ha un respiro ben più ampio di quello del reportage. Bastano pochi minuti, e si viene catapultati in un mondo di luci filtrate, di movimenti fluidi e di eleganti accostamenti cromatici: quelli dei pesci, dei mammiferi, degli uccelli marini e dei crostacei filmati in sessanta paesi diversi, nell’arco di quattro anni di lavorazione. Sembra impossibile, guardando il film, pensare che tra due inquadrature sapientemente accostate possano esserci centinaia di migliaia di chilometri o anni di distanza. Il film si snoda seguendo il movimento continuo di quell’oceano che ne è, al tempo stesso, luogo e protagonista; ben presto si finisce per credere di essere di fronte ad un vero e proprio racconto, con scene d’amore, sketch comici e addirittura scene di battaglia, come nella scena mozzafiato che vede migliaia di granchi affastellarsi l’uno sull’altro con una forza epica che riecheggia quella dei grandi film di guerra e, ancora prima, dei capolavori dell’arte rinascimentale.
Una vera e propria sinfonia delle acque, quella orchestrata da Jacques Perrin e Jacques Cluzeaud. In meno di due ore, sotto lo sguardo dello spettatore scorrono le immagini di ben novanta specie di animali marini, che di volta in volta si muovono a formare architetture e paesaggi, evocando situazioni ben lontane da quelle che ci si aspetterebbe da un documentario. Ma non c’è solo ricerca estetica in Oceans: ecco quindi i risvolti più crudi e spietati delle leggi naturali, l’inseguimento e la caccia tra predatori e prede. Lo sterminio delle tartarughe marine appena nate, di cui ben poche riescono a raggiungere il mare dopo essere uscite dalla sabbia, o le orche assassine che si avventano sui leoni marini del Sud America. E ancora: la barbara pesca agli squali, che vengono mutilati delle pinne e ributtati in mare, destinati così ad una morte atroce senza alcuna possibilità di movimento. L’inquinamento delle fabbriche, che minacciano l’ecosistema. Ed emerge la profonda differenza tra la violenza animale, destinata alla sopravvivenza e, in un certo senso, dignitosa, e quella umana, spietata e cieca di fronte all’equilibrio naturale, messo pericolosamente in crisi.
Dopo Microcosmos e Il popolo migratore, Perrin e Cluzeaud intuiscono ancora una volta la potenzialità immensa che il cinema documentario porta con sé: più di qualsiasi visita ad un museo oceanografico, più di qualsiasi conferenza sull’ambiente, sono le immagini in movimento e le fortissime emozioni che suscitano a rappresentare la più efficace arma di sensibilizzazione sul problema della tutela delle specie e degli ambienti. È solo diventando pesci tra i pesci, seguendo i loro bizzarri percorsi, che si può comprendere appieno il valore di ciò che la mano dell’uomo rischia di distruggere in pochissimo tempo.
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Mi piace
L’uso narativo della materia documentaria
Non mi piace
L’operazione è efficace ma non certo nuova
Consigliato a chi
Agli amanti della flora e fauna marine, ma anche a chi al cinema cerca un osservatorio privilegiato sulla Natura in generale
Voto: 4/5
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