Lasciatemelo dire: io amo Ken Loach. Non sarò obiettivo, ma la recensione è mia e quindi me ne frego. Amo l’irlandese, proletario, coraggioso, intelligente, ottimista Ken Loach e la sua filmografia. E rabbrividisco di stupore nel godermi il suo nuovo film dall’equivoco titolo italiano (L’altra verità) e dall’inequivocabile titolo originale (Route Irish). La Route Irish, la strada maledetta che collega l’aeroporto di Baghdad alla Green Zone, la zona sicura. Il buon Ken è furioso e non lo nasconde, il film è una denuncia urlata, trasuda ira. Ci narra di due Contractor (mercenari) inglesi, Fergus e Frankie, ex militari che lavorano per un’agenzia di sicurezza privata in Iraq. Frankie muore in maniera anomala proprio lungo la Route Irish e Fergus è certo che sia stato ucciso dall’agenzia per metterlo a tacere. Ed ecco che Ken Loach fa un salto oltre la linea di non ritorno, non è più un film di denuncia sociale, non si parla solo del giro di denaro di proporzioni bibliche che ruota attorno alle agenzie private usate dai governi nelle più recenti guerre, nemmeno del confine invisibile fra lecito ed illecito che svanisce in questa terra di nessuno dove non esistono scrupoli e comandano i soldi e la morte. No, Ken ha già scelto il suo nemico, ha deciso chi è il male e non vuole indugiare, vuole colpire, vuole far saltare in aria il sistema e tutti quelli che vi sono dentro e, difatti, il suo alter-ego del film, Fergus, non cercherà giustizia, ma la virale vendetta. Certo è un film meno introspettivo e intimista del solito, i personaggi sono poco approfonditi e l’azione non ha l’impatto visivo degli action-movie americani, ma, come vi ho preannunciato, non sono obiettivo. Andatelo a vedere. (scritto anche su Cinematra Blog)
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