L'amore bugiardo - Gone Girl: la recensione di nancy
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L’amore bugiardo – Gone Girl: la recensione di nancy

L’amore bugiardo – Gone Girl: la recensione di nancy

COME I MEDIA TI CREANO UN CAPOLAVORO CHE CAPOLAVORO NON È.
Tra i lavori che ho atteso con più ansia in questo 2014 c’erano sicuramente Interstellar di Nolan e Gone Girl di David Fincher. Se il primo ha pienamente soddisfatto le mie aspettative piazzandosi di prepotenza nella mia top ten personale di sempre, il secondo mi ha profondamente delusa. Sì, Gone Girl di David Fincher non solo non ha soddisfatto le mie aspettative, ma le ha deluse così tanto da farmi quasi arrabbiare. Sono arrabbiata perché Gone Girl è risultato essere proprio quello che lo stesso Fincher denuncia aspramente nel suo film: un prodotto mediatico, confezionato su misura sotto forma di capolavoro.

Andiamo con ordine; già il fatto di vedere Ben Affleck nel cast aveva acceso in me un piccolo campanello d’allarme, una cosa del tipo “che diavolo ci fa Fincher di un pesce lesso come Affleck?”, ma speranzosa e davvero bisognosa di vedere un grande thriller sono passata sulla faccia di Affleck e mi sono decisa per la visione. Il mio campanello d’allarme non si sbagliava affatto, Affleck e i suoi muscoli si dimostrano fin da subito nel posto sbagliato, neppure un personaggio “mollaccione” come quello di Nick Dunne fa per lui. Fortunatamente, però, la vera protagonista è un’altra, la convincente Rosamund Pike, bella, altera e perfettamente calata nella parte di Amy, una donna di successo, ma costretta a fare i conti con il suo alter ego, la Fantastica Amy della saga di libri creata dalla madre.

È veramente difficile parlare di Gone Girl senza fare spoiler, è come camminare su un paviemento scoparso di vetri, cercherò quindi di fare più attenzione possibile (intanto potete cliccare qui per vedere il trailer).

Nick e Amy sono sposati da cinque anni, ma l’amore sembra affievolito già da un pezzo complice il dastrico passaggio da una vita fatta di soldi e successo a New York ad una vita modesta nel Missouri, soli e senza un soldo. Amy scompare, il giorno del loro quinto anniversario, apparentemente senza lasciare tracce, ma tutti hanno già decretato che il colpevole è Nick. Così il compito di Fincher diventa quello di mostrarci che nulla è come sembra attraverso una critica alla crudeltà dei mass media e Gone Girl si trasforma da thriller a critica sociale.

“Il marito è troppo sorridente per non essere colpevole, in tv hanno detto che è stato lui e poi si fa anche i selfie con altre donne mentre sua moglie potrebbe essere morta!”

Sembra un discorso da fan di pomeriggio 5, eh? Non ci va molto lontano e ammetto che ho apprezzato davvero la critica per nulla sottile fatta al sistema della apperenze, ma dopo una prima parte interessante (che però non raggiunge neanche lontanamente i livelli di suspanse di Seven) il film perde di tono, cambia verso, il colpo di scena non stupisce e il finale è al limite dell’assurdo anche a causa di alcuni grossi buchi nella sceneggiatura.

Gone Girl è, come preannunciavo, un prodotto ben confezionato dai media, ben sponsorizzato, un capolavoro a priori che capolavoro non è, il 2014 ci ha dato molto di meglio! Da vedere con molte riserve, senza aspettarsi il Fincher di qualche anno fa, dove si salvano la critica ai mass media e il profilo psicologico di Amy, ma deludono molto il perdonaggio di Nick e l’ennesima critica al matrimonio (sì, lo abbiamo capito che non dobbiamo sposarci!).

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