“L’amour flou. Come separarsi e restare amici” (L’amour flou, 2018) è il primo lungometraggio di Romane Bohringer e Philippe Rebbot.
Ammettere di andare in una sala d’Essai, riaperta dopo l’estate, per conoscenza del luogo e nella speranza di vedere un film francese di divertimento ma con stile.
Mi sono trovato di fronte un film (‘come sempre aggiungiamo il solito ‘sottotitolo’) particolare, o meglio una storia istantanea, sulla vita di coppia in crisi (con incipit da seduta psicologica e con una frase iniziale quasi ovvia, tipo…”non riesco a capire come siamo arrivati….”) con figli e relative problematiche odierne.
Odierne e in presa diretta. Un modo di contatto con altri. Reale e senza voto di finzione. Fino a quando la lezione termina orgogliosa, non meno ridanciana. Una conclusione e una festa per non pensarci.
Un senso retrò in un’ambientazione ristretta, chiusa e di linguaggi non costruiti.
Il documento film (storia vera, con attori e parenti che recitano se stessi) scorre languidamente e ironicamente con confessioni, diatribe, colazioni e cibi da preparare, luoghi comuni e invidie normali, tradimenti e figli intrecciati tra i genitori. L’appartamento da acquistare per venire incontro alla prole: ognuno per conto proprio con un luogo comune di passaggio dove i ragazzi possono giocare e comunicare con entrambi. Basta poco per essere felici … da separati.
Il ‘pedinamento’ zavattiniano (neorealista) è finito e si converte in ‘condizionamento’ (realista) in cui la finzione è scevra di qualsiasi orpello di fantasia. Gli stessi si raccontano: stile reality in tragedia minima e in comedy spiritosa. Il ‘come tante’, ma con scrittura quotidiana e senza risate, presunte o tali, registrate.
Il film fa riflettere e fa pensare ma si ha la sensazione che il ‘racconto’ può non prendere completamente e il coinvolgimento in tutto (da parte degli attori-coniugi) non rende il ‘giusto distacco’ da parte di una regia esterna (immaginando una vera e propria ‘peace’ teatrale). E’ sempre stata buona la prima? Chi sa…e quindi il modulare meglio le varie fasi di vita avrebbero ingigantito il risultato.
Un documento irriverente, laconico e ironico dove la ‘separazione’ si lascia conquistare dalla flemme semplice e spiritosa delle battute e dai passaggi oltre la ‘rete del campo’ (‘il corridoio di cui discutono), complice una partita a tennis dove il tie break sembra lontano.
La sconfitta vittoria di entrambi sembra scontata e la festa diventa al contrario….senza irritarsi, senza beccarci ma con un braccio laicamente vivo ma da separati.
Poi il politicaly-correct oramai imperversa ed ecco vedersi la gamma dei casi:tradimento doppio, gay e voglia di figlio, lesbica con voglia di amore, autoerotismo, flirt vari… mentre i figli non si vedono quasi mai.
Cast:
Romane Bohringer: inespressa e un po’ repressa, non ha niente da scoprire e scopre il suo corpo per pudore e senza appartenenza;
Philippe Rebbot.: per i figli e poco per sé, trasandato e da scoprire nel mentre suo padre (senza più nulla) torna da lui e prende posto nel suo piccolissimo quotidiano.
Figli: da contorno o quasi, da crescere e da capire.
Parenti: piagnucolosi e tristi, distaccati e saggi.
Ambientazione: reale e ristretta, focale e sfocata, come a dire altro non abbiamo.
Regia: diciamo pro-causa, niente di estroso e diretta
Voto: 6/10 (***) -cinema centrico-