L'angelo del crimine: la recensione di loland10
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L’angelo del crimine: la recensione di loland10

L’angelo del crimine: la recensione di loland10

“L’angelo del crimine” ( 2019) è il sesto lungometraggio del regista argentino Luis Ortega.
‘I miei genitori non ‘potevano’ avere figli. Poi sono arrivato io.
Un angelo dal cielo; la spia di Dio.’
Ecco come fuori onda e fuori schema si auto presenta Carlos(ito), un angelo dal viso con dentro sogni criminalità senza remore e confini. Sembra un divertimento e il film procede a mo di commedia sanguinaria e truffaldina. ‘Non mi basta quello che hai’ dice il poliziotto. Quasi a dire continua e vai a prenderli altri. Ecco puoi continuare per te e forse per il tuo amico Ramon.
Strano connubio tra tv passatempo e cinema di quartiere di un periodo che non conosciamo bene. E il ricambio generazionale tra angeli fidati e angioletti volari e dentro la crusca malfamata del guadagnare facile senza amici, parenti e quasi con distacco dai genitori. L’importante avere il piatto preferito. Altri problemi sembrano non esserci. Quando gli occhi chiudono il cervello.
Boccol(ett)i, faccia da bambino, modi giusti, cuore e testa da altre parti. Carlito … è un adolescente figlio unico di due genitori semplici e amorevoli ma il suo destino, o meglio il suo mondo interiore, svincola in altri lidi dalla tenera famigliola. La madre gli fa sempre, appunto, il suo piatto preferito,quasi in modo adorante, fettina di carne impanata e purè. Il ragazzo ne va matto. I compiacenti genitori non si rendono conto…fino a quasi l’epilogo che il loro ragazzo è un delinquente, ladro e feroce assassino.
Siamo a Buenos Aires nel 1971, unica didascalia del film, quando il biondino (e lui ripete più volte di non voler essere chiamato in tale modo) inizia….a rubare. Si trova solo, furtivamente dentro una casa….e poi prende una moto … per non ritornare a piedi. Si racconta la storia vera di Carlos Robledo Puch noto come ‘l’angelo nero’ (condannato per diversi omicidi).
Lorenzo Ferro (Carlito) ha le movenze giuste e il faccino ‘correct’ per una parte che gli si addice, lineamenti carezzevoli e violenti, lisci e ruvidi. Non è interessante bucare lo schermo, è importante tagliare le persone davanti, ubriacarsi di soldi e carpire la simpatia di qualcun’altra. Ad esempio Ramon (Chino Darin) che gli rifila un pugno al primo incontro. Il ragazzo non reagisce, aspetta, va contro e si affianca al suo gesto. Fa visita alla sua famiglia per iniziare le scorribande di un delinquente forte e senza timore di nessuno. Rubare armi, aprire casseforti, sparare a distanza ravvicinata, toccarsi i capelli e dormire quanto basta. Un diciassettenne che nella Buones Aires del 1971 aveva da fare per farsi ricordare.
La colonna sonora e i pezzi musicali anni settanta mantengono alto lo spirito della storia, le ambientazioni (‘tout court’) sono direzionali per indicarci dove siamo, i ritrovi e i vari volti accorpano la storia in un senso di appartenenza al contrario, le misure narrative sono sempre dilanianti giocando con una commedia che fu e il senso registico prende quello che il periodo può dare. Quasi un divertimento leggero e ruvido, distaccato e pregnante. Bonnie e Clyde sono già in archivio, qui si tratta un rampollo di bassa levatura che riesce a ‘spodestare’ il difficile con gioco facile-facile.
Il film è girato con un semplice meccanismo di incastri tra quello che aspetti e quello che avviene. Di omicidi si vedono ma paiono fuori dal muro di Carlito. Il dintorno, l’aspetto sociale, i riferimenti al paese rimangono solo nelle parole e nelle intenzioni. Non si scava e non si va oltre. Un film che si lascia guardare con un volto che riesce a scrollarsi di dosso l’ombra del ragazzo instupidito nella interpretazione del..bravo attore giovincello. E il rapporto Carlos-Ramon è indicativo: sono insieme ma non si conoscono, si incontrano ma hanno visioni diverse, dipingono il crimine ma la loro vita è opposta. Una compiacenza di ruoli inesatti, obliqui e sghembi. La sessualità non appariscente, quasi soffusa, capibile ma non espressa accarezzano un film che parla di ‘criminalità’ con una leggerezza che sconcerta e addolcisce. E la corruzione arriva sempre. Anche il capo della polizia adombra il ricatto per un pieno di banconote. Ma Il ragazzo la sa lunga….e non sembra cade mai nel trabocchetto.
La colonna sonora è il vero di più della pellicola (con canzoni riconoscibili in versione ‘spagnola’) che sembra l’onda radio del ‘warrior’ angelico (alla Walter Hill) mentre spadroneggia nella sua vita criminosa. Un viziato a cui piace giocare troppo forte.
Epilogo da ballerino incantato, che vive il suo tempo, solitario e con poche parole, da dietro, una febbre di tutti i giorni. Si sveglia sempre tardi con la mamma che ne prende le misure. Ma per ora lei è in auto mentre una schiera di poliziotti avvolge il suo destino verso la fine.
Regia: avvolta, arricciata, fuori schermo e accomodante.
Voto: 6½/10(***).

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