Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno: la recensione di Giorgio Viaro
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Le avventure di Tintin: il segreto dell’unicorno: la recensione di Giorgio Viaro

Le avventure di Tintin: il segreto dell’unicorno: la recensione di Giorgio Viaro

La sensazione più forte che lascia la visione di Le avventure di Tintin: il segreto dell’unicorno è che Steven Spielberg, il suo augusto autore, per oltre due decenni demiurgo degli umori del popolo cinematografico globale, abbia ormai smarrito la connessione con il proprio tempo.
Il film, tratto da un personaggio relativamente celebre del fumettista belga Hergé – un giornalista-avventuriero sempre a caccia di tesori, che è accompagnato nelle sue scorribande da Milù, un piccolo terrier bianco – è innanzitutto un impressionante sfoggio di tecnica registica applicata al liguaggio ibrido della motion capture. Il 3D, mai così definito e luminoso, sfruttato nelle sue peculiarità ludiche senza che queste risultino pretestuose, è un vero piacere per gli occhi, e in generale è impossibile non restare impressionati dal modo in cui Spielberg, liberato dalle restrizioni fisiche del live action, sperimenti soluzioni di montaggio d’avanguardia, mischiando i piani temporali e geografici, la realtà coll’immaginazione dei personaggi, e persino le identità stesse di questi ultimi, che mutano gli uni nel corpo degli altri: si arriva al punto che quasi ogni stacco è un piccolo prodigio di inventiva.
Inoltre, nessuno come il regista di Indiana Jones conosce i ritmi e i segreti del cinema d’avventura, e Tintin è l’ennesimo punto di riferimento per il genere, perché la motion capture consente libertà da fumetto altrimenti impensabili.

Fin qui i meriti. Purtroppo, a meno che non ci si trovi di fronte a uno showreel di una società di videoproduzioni, niente di tutto questo ha importanza se i protagonisti e le loro avventure falliscono nel fare presa sullo spettatore. E in questa caccia al tesoro custodito in un antico galeone perduto, al di là della simpatia suscitata dall’energica follia del capitano Haddock (magnificamente animato da Andy Serkis) non solo non si sente lo stimolo a fare il tifo per qualcuno, ma nemmeno importa troppo dell’esito della ricerca. Le ragioni sono varie.
La prima è che la motion capture, di cui abbiamo citato i meriti, si rivela una volta di più un linguaggio che rende molto complicata la sospensione dell’incredulità: sebbene rispetto ai tentativi di Zemeckis (Beowulf, A Christmas Carol) si siano fatti ulteriori passi avanti dal punto di vista dell’umanizzazione dei personaggi, si resta sempre in una terra di mezzo in cui non si gode né del realismo del live action, né della suggestione dell’animazione pura, vittime piuttosto di quella forma di incredulità ed estraniazione che gli americani chiamano uncanny valley.
La seconda è che il personaggio di Tintin (cui presta fisionomia e movenze Jamie Bell), una sorta di ibrido tra Topolino e Indiana Jones, è privo di passato, famiglia, tic, debolezze, segni particolari, fantasmi personali (e così era anche nel fumetto d’altra parte), e questo rende difficile l’empatia o l’immedesimazione: e infatti è Haddock a “mangiarsi” il film, stimolare le risate e, non a caso, essere protagonista dello scontro finale con il villain.
La terza è che gli obiettivi dell’avventura classica (l’oro, antichi tesori, le spoglie di un galeone) sono estranei ai desideri della contemporaneità, oggi più legati a curiosità e considerazioni cosmologiche, religiose o filosofiche (come nei best seller di Dan Brown o nei film di Nolan) piuttosto che al miraggio di ricchezze materiali che nell’Occidente opulento e intontito dall’estremo benessere (e dall’estrema crisi che ne deriva) sembrano soltanto cliché da romanzi ottocenteschi.

Il film procede così per siparietti spiritosi ed elaboratissime sequenze d’azione, ma senza sussulti, restando sempre un pò inerte: verrebbe voglia di consigliarlo come perfetto intrattenimento per famiglie, ma non scommetteremmo siano molti i ragazzini disposti oggi a cavalcare una storia come questa.

Mi piace
L’applicazione della motion capture al mondo dell’avventura e dei fumetti apre nuove strade ai visrtusismi registici. Il 3D luminoso e definito

Non mi piace
Il protagonista è povero di carisma, la caccia al tesoro un cliché fuori tempo massimo. La motion capture genera sempre un senso di estraniazione

Consigliato a chi
Ama l’avventura classica e il cinema per famiglie dai ritmi indiavolati

Voto: 3/5

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