Una passerella che sfoggia il suo look borghese con adamantine “luccicherie”, fra “Vedo e ho visto tutto, anche se fingiamo d’intravederla”, divette nudiste a nuotarsi in un red carpet, magia dei loro soldi, e un Clooney che si piace, fotografato quanto lo smoking pulsante nella sua rasatura “sobria” da cerimoniere mondano, capitano del vascello veneziano a cui porge, quasi sempre gli omaggi, quest’anno in pieno charmeur d’apertura, con la folla urlante a delirarsi per un suo bacio che li coccolerà anche da lontani anfratti del vento, per una firma storica da incorniciare nella loro vita da bancarelle dei feticci, da mostrar agli amici come simbolo della vanità di George che si trasfuse, per un attimo da ricordare, nei loro occhi, in deliri baloccanti ad ammirarlo.
Marisa Tomei, inguainata, mentre, laggiù, un gondoliere è inguaiato con un ricco cliente che non gli ha dato la mancia. Non sappiamo se la “coniglietta” Marisa, d’addobbo quasi floreale, la diede a George, ma lo sguardo ammiccante fra i due potrebbe alimentar non pochi sospetti. Di quando George, optando per Lei per il ruolo della giornalista, spalancò così l’apripista di qualche notte “canterina” della vellutata, cangevole Marisa, americana garbata, specie di gambe, italiana nella posa furbetta di chi è arrivata a mieter consensi oltreoceano con la sua birbanteria di chi “sa farci”.
E il cast, “pompato” per l’occasione, di panzuti Hoffman e Giamatti, a gareggiar nella sfida del fegato che, però, sa recitar benissimo.
Inizia così la sessantottesima Mostra. Soliti valzerini e rituali d’affamati mai domi, talvolta fasciati, quasi mai dalle vite sfasciate, anzi, ben sfacciate anche se potrebbe essere solo una facciata di “cortesia?”. Un sorriso che ghigna dietro rughe tirate per un’occasione da lifting “su di giri”.
Applausi a tuonarsi, in Sala Grande, restituita agli antichi fasti, anticamente rinnovata, e all’adiacente, anzi, un poco distante Palabiennale, tendone da circo montato per il mese settembrino della giostra festivaliera.
Leggo di critiche che (molto) l’amarono, questo “Le idi di Marzo”, di giuggiole belle più imbellettate di George e di critici da “Corriere della Sera” dall’”inappuntabile” penna stilografica che osannano, in un “Da non perdere”, un film tutt’al più da dibattiti politici e, appunto, da facili battimani.
Cesaroniane “congiure”, bugie confidate in pub sfocati nella penombra di giochi d’adulti, fra coloro che usano altro “pube”, fra corteggiamenti-occhiolino e la solita birretta, un po’ proletaria, tra amici che se ne fregano, “capoccioni” se ne fregiano, ma soprattutto si fregheranno .
Allestito con professionalità, col Clooney che “piacioneggia” in un ruolo cucito su misura e da come gli altri l’han sempre misurato, un Gosling-Pinocchio che n’è la sua simbiosi “pulita” (la locandina già svela l’”illustrazione” del film), due bellissime attrici, e due “bruttarelli” dalla parlantina veloce e schietta.
Il film scorre fra guizzi prevedibili e una certa prevedibile monotonia, quindi potrebbe sorprendere qualcuno, ché ci piazza una morale che sarebbe “colpo basso”, il “trillar” d’un bambino all’uscita, e il mare che gorgheggerà assorbendo anche le “rasoiate” del Clooney, Uomo amabile quanto il tramonto d’un Lido che, con la Mostra, si “nidifica”.
Ah, non stiamo qui a dar voti o stellette a questa par(l)ata di star, né vorrei concedere troppa grazia a un film ossessivamente verboso, che aggiunge al Cinema le acciughe alla romana, e che mi sento, George mi perdonerà, di snobbare, preferendo l’aroma della Tomei in ruvide pellicole in cui scoscia di più, danza negli ormoni, e di clooneyate non ammorba la sua Bellezza.
Lei è fiorita, e vorrei fiorisse in me, anche se taluni scommettono che, presto o nel “non si sa mai”, sfiorirò.
Le Idi di Marzo… meglio un libro di Storia. Almeno c’era più realtà “fantasiosa”. Questa è una ricetta rispettabile quanto George, indifferente quanto me dopo che “origliai” il mio caffè di prima mattina, o prima d’una sigaretta del mio “labirinto”. Non molti lo sanno ma Cindy Crawford tradiva Richard Gere con me. Ho sempre avuto più fascino, e queste son corna che non si dimenticano, quasi quanto i cornetti all’Excelsior. Le nostre “cornee” lo sanno…
(Stefano Falotico)
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