Le paludi della morte: la recensione di Marita Toniolo
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Le paludi della morte: la recensione di Marita Toniolo

Le paludi della morte: la recensione di Marita Toniolo

Non è facile presentarsi come figlia d’arte a un festival. Specie se tuo padre si chiama Michael Mann ed è considerato un maestro vivente del cinema. Non è facile scegliere un genere, come il thriller, spesso affrontato dal genitore, sapendo che i paragoni saranno inevitabili. Ma Ami Canaan Mann ha subìto coraggiosamente gli inevitabili confronti fatti durante l’ultimo Festival di Venezia, certa di aver impresso al film il proprio segno personale, pur avendo lavorato su una storia che sarebbe stata perfetta per Michael: un serial killer di giovani ragazze pedinato da due bravi poliziotti.
I Texas Killing Fields del titolo originale, ovvero le famigerate paludi della morte di quello italiano,  sono le distese limacciose e inquietanti  di un Texas che la regista descrive come afoso e opprimente, una zona spettrale, dove nella realtà (dal ’69 a oggi) di donne ne sono sparite a centinaia (alcune sono mostrate nelle foto vere che compaiono nel film).
La storia prende il via da due casi apparentemente separati: il rapimento di una giovane e l’omicidio di una prostituta quindicenne. A seguire le indagini sono l’”avatariano”Sam Worthington e Jeffrey Dean Morgan (più noto per la sua partecipazione in Grey’s Anatomy), molto convincenti nel ruolo di due detective esperti e talmente dediti al loro lavoro da sconfinare oltre la loro giurisdizione.
Il primo è una testa calda nata e cresciuta in quei luoghi, imbruttita dal mestiere e dal divorzio dalla collega Pam (Jessica Chastain); il secondo è un poliziotto newyorchese pacato, con una famiglia numerosa a carico. I due sono molto diversi, ma animati entrambi da una tensione morale, religiosa nel caso del secondo, che li spinge a ingaggiare una lotta contro il tempo per stanare l’assassino.
La detection story, pur appassionante e adrenalinica e con inseguimenti e sparatorie ben costruite, è però solo la scusa per descrivere un girone infernale di efferata bruttezza. Un’America violenta e misconosciuta, malefica e ancestrale, dove si mescolano istinti primitivi e follia, per descrivere i quali la sceneggiatura diventa secondaria, a favore  di atmosfere opprimenti e tenebrose, con quegli alberi dai rami contorti che sembrano gli scheletri delle donne lì abbandonate.
Il tuo Dio qua non ci viene” dice il poliziotto locale a quello newyorchese, “Dio non ha tempo di occuparsi dei poveracci” spiega una meravigliosa Chloe Moretz a Dean Morgan. Ed effettivamente è come se la Mann sembrasse chiedersi per tutto il film se Dio quella terra non l’abbia davvero dimenticata.  Nel dubbio che l’abbia fatto, la regista restituisce dignità a quelle vittime sconosciute e indifese, posando il suo sguardo sia sulle ragazze uccise sia sui poliziotti, con una pietas che lascia spiazzati, specie quando Dean Morgan prega sui cadaveri prima dell’arrivo del coroner o ingaggia una caccia all’uomo sfibrante per salvare la ragazzina (Moretz) di cui si è preso in carico la custodia. Una pietas che le ha imposto e le fatto imporre un realismo totale, tanto da aver costretto i due interpreti a recarsi in obitorio per osservare i cadaveri delle vittime. Papà dovrebbe andare fiero di lei.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace: l’umana partecipazione con cui la regista racconta gli efferati omicidi avvenuti realmente in Texas dal ’69 in poi. Le interpretazioni appassionate dei due protagonisti.
Non mi piace: la linearità della trama.
Consigliato a chi: a chi è in cerca di un thriller fuori dall’ordinario.

VOTO: 3/5

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