Le regole del caos: la recensione di Marianna Trimarchi
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Le regole del caos: la recensione di Marianna Trimarchi

Le regole del caos: la recensione di Marianna Trimarchi

La riflessione del cinema sul paesaggio come elemento di raccordo tra natura e cultura, tra sfuggevole e razionale, tra disordine e geometria, trova ne Le regole del caos, ultimo lavoro di Alan Rickman, qui attore e regista, la sua più recente applicazione, quasi una dichiarazione da manuale che elabora, attraverso figure simboliche, la compensazione di questa dicotomia, già evidente nel titolo scelto dalla distribuzione italiana (meno in quello originale – A Little Chaos – dove l’innesto dell’elemento dionisiaco è più sotteso). Il film si divide in due parti, la prima prevede un confronto emblematico tra la razionalità del disegno e dell’architettura e la proteiformità del paesaggio naturalistico, dove la vegetazione cresce lussureggiante, senza quei vincoli geometrici imposti dallo spazio rigoroso del giardino; la seconda più sentimentale e introspettiva, dove l’estro creativo trova una sintesi con la compostezza del progetto e dove la storia d’amore tra i due protagonisti, rispettivamente portatori dell’una e dell’altra visione del mondo, trova compimento.

Alan Rickman sceglie per questo progetto un’ambientazione storica fortemente pregnante, quella della Francia del Re Sole, portando nella pellicola lo splendore della corte, lo sfarzo della classe nobiliare, i suoi capricci, le sue mode, le sue velleità, e facendo volare la mente dello spettatore agli echi della Rivoluzione Francese e al destino dell”Ancien Régime. In questo contesto di ingessatura e rigore, dove un solo sbaglio viene punito con la decapitazione, l’irruzione (morbida) del caos è rappresentata dall’ingresso di Sabine de Barra (Kate Winslet), giardiniera scelta dall’artista di corte André le Notre (Matthias Schoenaerts), per progettare e realizzare uno spazio all’interno dei giardini della reggia di Versailles, futura dimora della Corte di Luigi XIV. Il progetto, specchio dell’indole di Madame de Barra, si discosta da quelli presentati dagli altri concorrenti per una sottrazione di rigore geometrico e di règle che, al contrario, i dettami del tempo imporrebbero e, proprio per questo eclettismo, insieme al carattere schietto e senza fronzoli della sua interprete, viene scelto per scommettere e innovare uno stile istituzionalizzato e ormai privo di mordente.

Se sotto questo aspetto il film di Rickman presenta una densità teorica e narrativa, che si direzione verso una sintesi tra i due sistemi, mantenendosi lieve persino all’interno del discorso più greve (e non a caso il film si apre con il ruttino di uno dei figli di Sua Maestà), l’innesto graduale nella narrazione di venature più drammatiche, squadernate senza quella raffinatezza allusiva e ilare delle prime sequenze, fanno pesare sul racconto i rapporti sentimentali dei due protagonisti, le ombre del loro passato e gli interrogativi sociali che li accompagnerebbero qualora il loro amore trovasse un riscatto. Se l’accento su tali vicissitudini appare, nell’economia del film, eccessivamente struggente per il tono, il tenore e le premesse da cui era partita la pellicola, sono le battute di Alan Rickman e di uno Stanley Tucci in stato di grazia nelle vesti del Duca d’Orléans e fratello del Re a regalare i momenti migliori e a creare camere di decompressione in cui il nervo sentimentale viene smorzato ora da un’osservazione acuta e sagace della noblesse francese, ora da una riflessione sul dolore più composta e velata di ironia (tale è la scena madre, giocata su un equivoco che non mancherà di far sorridere). Pur non riuscendo a mettere equilibrio le varie voci del racconto, che rimane sbilanciato a favore del dramma romantico, e pur concludendo in modo prevedibile la dicotomia tra natura e cultura, che faceva presagire sviluppi ben più articolati, Le regole del caos non fallisce nell’intento di intrattenere e di rinfrancare lo spettatore, coronando il racconto con un finale pacificante e bonario.

Mi piace: la sagacia con cui viene dipinta la nobiltà francese e l’ottima interpretazione di Alan Rickman e di Stanley Tucci

Non mi piace: il viraggio verso toni spiccatamente romantico-sentimentali a fronte di un incipit più denso e articolato

Consigliato a: chi ama i film in costume

Voto: 3/5

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