Con Leopardi, il poeta dell’infinito l’attore e regista Sergio Rubini si è confrontato con uno dei massimi poeti italiani, figura letteraria e romantica che continua a infiammare anche i contemporanei grazie alla forza senza tempo dei suoi versi, in grado di consegnarlo all’immortalità come qualcuno, già mentre era in vita e come la serie ben ricorda, aveva previsto. Un totem statuario della nostra cultura, cui le polverose ritualità dei banchi di scuola non hanno per fortuna sottratto alcuno smalto.
Dopo Il giovane favoloso, la rilettura fiammante e modernista di Mario Martone, che l’aveva perfino imbevuto in sequenze lussureggianti, come quella che illustrava la lettura de La ginestra, e musiche odierne (di Apparat), Rubini, sotto l’egida della prima serata Rai, non smuove molto sul piano del linguaggio cinematografico, consegnando all’anteprima delle proiezioni speciali di Venezia 81, e a tutti gli spettatori Rai il prossimo dicembre, un’illustrazione pedissequa, certosina e accurata della biografia del poeta recanatese.
Si parte ovviamente dall’infanzia e dall’adolescenza, vissute all’ombra del punitivo e autoritario padre, il conte Monaldo ben interpretato da un vibrante e algido Alessio Boni, per arrivare, superati i sette anni di “studio matto e disperatissimo”, alle opere civili di dissidenza liberale, “sobillate” – come si diceva all’epoca – dall’amicizia e dalla vicinanza col sovversivo Pietro Giordani (Fausto Russo Alesi, in focoso e appassionato controllo della parte), cui farà seguito quella con Antonio Ranieri (un volenteroso Cristiano Caccamo). Fino all’incontro con la nobildonna Fanny Targioni Tozzetti, interpretata con grazia eterea da Giusy Buscemi e grande amore mancato del letterato, e ovviamente alla morte napoletana in un contesto cittadino partenopeo segnato dall’epidemia di colera.
L’impianto scelto da Rubini, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme ad Angelo Pasquini e Carla Cavalluzzi, è come detto iper-classico, pur con qualche taglio di luce ardito e di matrice pittorica, alcuni lampi caravaggeschi, confinati soprattutto nel prologo che muove dall’annosa questione della sepoltura del poeta, e un bel po’ di ricostruzione in costume standard per la prima serata di Rai 1.
In compenso, però, viene ben rappresentata, con l’eloquente semplicità che si conviene alla committenza, l’anima profonda della poetica di Leopardi, ben incarnato da un Leonardo Maltese ombroso e spigoloso, capace anche di subitanei lampi di fragilità e spaurita inadeguatezza, restituita fin dal tono di voce non di rado flebile, mellifluo e spezzato (una scelta precisa, e senz’altro vincente). Dopo aver ben figurato in Rapito di Marco Bellocchio (il film è una produzione di Rai Fiction e Rai proprio con la IBC Movie cara al cineasta bobbiese) e ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio, che gli era valso il premio Mastroianni al miglior attore esordiente proprio a Venezia, si conferma uno dei più decisivi e cruciali nuovi talenti del cinema italiano.
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