Tra i più attesi film del 2013 Les Misérables – trasposizione musical del celebre romanzo di Victor Hugo sostenuta da un cast di stelle molto amate come Anne Hathaway, Russell Crowe e Hugh Jackman – disattende in buona parte le aspettative che una serie di clip e trailer emozionanti, diffusi soprattutto a ridosso dell’uscita natalizia americana del film, avevano alimentato.
Per comprendere gli aspetti limitanti e gli ostacoli che hanno impedito la piena riuscita dell’operazione bisogna innanzitutto fare dei distinguo: Les Misérables non è un musical come Mamma mia! o Chicago (e non ci stiamo riferendo al registro comico o brillante dei due titoli in questione): la versione originale a cui si ispira e che dal 1980 continua a riempire le platee di tutto il mondo (raggiungendo lo status di “gloria” del West End e di Broadway), consiste in una sorta di teatro d’opera, poiché è tutto cantato e non ci sono dialoghi.
Detto questo, il primo problema della trasposizione cinematografica del regista premio Oscar per Il discorso del re Tom Hooper risiede innanzitutto nella scelta di sposare una fedeltà totale all’opera originale, quando invece sarebbe stato richiesto il coraggio di essere adattata al linguaggio da grande schermo, osando l’inserimento di dialoghi veri e propri che avrebbero smussato la monotonia e la pesantezza soprattutto della prima parte. Giacché il musical originale prevede 49 numeri canori, era probabilmente opportuno un alleggerimento e invece Hooper opta per la “carta carbone”, avendo persino il coraggio di inserire un numero musicale in più. Con tutto il rispetto che si deve all’epopea di Jean Valjean e a una delle storie più commoventi partorite dalla letteratura, in cui si fondono riflessioni sulla disuguaglianza sociale, la disfunzionalità dei contesti familiari, il valore del sacrificio umano e dell’incontro con Dio, all’ennesimo scambio in cui Crowe e Jackman si rispondono cantando con voce stentorea è naturale provare il desiderio di una visione in cui almeno una volta gli attori si rispondano con un dialogo normale.
A tale pesantezza operistica non giova la monotonia con cui Hooper affronta i numeri musicali, ovvero sempre con primi piani talmente ravvicinati da rendere quasi visibili i pori e le tonsille degli attori, e che è in netto contrasto con le possibilità fornite da una storia di ampio respiro e dalle enormi potenzialità scenografiche, ambientata com’è in una Parigi dei primi anni dell’Ottocento in cui si stava progettando una rivolta civile.
Hooper concede al pubblico pochissime panoramiche allargate, impoverite talvolta da un digitale molto cheap. Dove davvero Les Misérables riesce a essere maestoso visivamente come a esso si addice è invece nell’incipit con Valjean immerso nell’acqua con gli altri prigionieri tutti intenti a risollevare una pesantissima nave e nell’epilogo esaltante degli attori in parata sulla barricata. Ovvero, le uniche scene in cui Hooper abbandona lo stile claustrofobico adottato e ci fa volare davvero alto. Tra i numeri più belli bisogna anche sottolineare il divertimento e la leggerezza della scena in cui sono protagonisti i truffaldini Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter, tutori malevoli di Cosetta.
Trattandosi di un musical, il bello del gioco sta anche nel poter esprimere il proprio giudizio sulle performance dei singoli cantanti/attori. Va precisato che le voci sono state registrate in presa diretta e quindi dal vero, senza playback aggiunti in studio, e che gli attori hanno quindi dovuto cantare e allo stesso tempo interpretare i brani. Le battute della canzoni, specie negli attacchi, sono più parlate che cantate, ed è questo sicuramente l’aspetto più interessante e sperimentale del film, quello che rende vibranti e intense le interpretazioni degli attori, pur con qualche pecca. Ma non è sicuramente il livello tecnico delle prove canore che qui ci interessa esplorare, quanto l’intensità drammatica. A costruire il personaggio più indimenticabile e ad aver già ipotecato una statuetta agli imminenti Oscar è la Hathaway, con la sua straziante Fantine; Jackman costruisce il suo Valjean e compie la sua redenzione con ardore e doti da musical ben note, Crowe pur essendo distante dallo Javert letterario ha un bel timbro baritonale e compensa col carisma le incertezze canore. Il climax emotivo sopraggiunge grazie in particolare ai giovanissimi del cast, sia gli innamorati Cosette e Marius il rivoluzionario, interpretati da un’Amanda Syfried dalla voce cristallina e da un Eddie Redmayne dal timbro limpido e chiaro, sia il rivoluzionario Enjolras (Aaron Tveit), ma anche tutti gli altri comunardi pronti a perdere la vita sulle barricate. Su tutti dominano le doti canore di Samantha Barks (altra papabile da Academy) che costruisce un’Eponine molto commovente. Menzione di merito al piccolissimo Gavroche, alias il britannico Daniel Hettlestone, che da piccolo guitto si trasforma in simbolo rivoluzionario. La parte finale è dunque quella più ritmata ed emotiva, in cui i nodi vengono al pettine e il viaggio esistenziale di Valjean si compie, giungendo all’espiazione tanto agognata. Venti minuti strappalacrime in cui finalmente l’emozione viene liberata, ma che una volta asciugate le lacrime non riscattano l’opera nella sua completezza.
Leggi la trama e guarda il trailer
Mi piace: le interpretazioni recitative e vocali degli attori. Le musiche di grande impatto.
Non mi piace: lo stile operistico e la regia incollata ai volti degli interpreti, quasi claustrofobica.
Consigliato a chi: ama le sperimentazioni e agli appassionati di Les Miz
VOTO: 3/5
© RIPRODUZIONE RISERVATA