Se per quanto ne sappiamo la vita nell’universo è nulla, i film di fantascienza, in compenso, intasano le sale sempre più frequentemente. Dopo Gravity, Interstellar, Arrival e Passengers , ecco arrivare anche Life – Non oltrepassare il limite, regia di Daniel Espinosa, alla prima “uscita extraterrestre” dopo Safe House e Child 44.
Poche chiacchere, meno pretese e tanto intrattenimento. Questo è quello che si respira godendosi un film frizzante, che mescola atmosfere thriller a qualche elemento horror e che ci fa presto accorgere di quanto le intenzioni del regista svedese siano quelle di mettere in mostra un contorno deisamente maturo, per poi scendere, senza precipitare, in una specie di grottesca sci-fi vecchia scuola che piace tanto proprio perchè non viene presa sul serio.
Jack Gyllenhal, Ryan Reinolds e Rebecca Ferguson sono alcuni dei membri del team della Stazione Spaziale Internazionale, incaricati di analizzare un campione recuperato da una sonda proveniente da Marte, al fine di scoprire possibili forme di vita extraterrestri. Partendo da una piccolissima cellula dormiente, lo scienziato Hugh Derry (Ariyon Bakare) riuscirà a trasformarlo in un organismo multicellulare capace di reagire agli stimoli. Calvin, questo il nome, crescerà giorno dopo giorno fino a quando un improvviso guasto alla cella del laboratorio non lo riporterà alla condizione dormiente. Sarà quando Hugh tenterà di rianimarlo con delle piccole scosse elettriche che Calvin assumerà un comportamento ostile seminando il terrore in tutta la Stazione Spaziale.
La forza di Life passa proprio dal concetto elementare che vuole trasmettere: niente lezioni di umanità e ancor meno profondità scientifica. Giocando sull’eterna questione della possibile convivenza tra alieni e umani, Espinosa bada a costruire un thriller sempliciotto talmente carico di pathos da impedire di potersi fermare un momento a discutere se tutto questo sia possibile o meno. Ed è proprio dando la giusta dose di equilibrio ai protagonisti, rendendoli umani fino al midollo quando spinge sul pedale della sopravvivenza spicciola, che Life emerge dal suo stato ibrido per divertire quanto basta. L’abbondanza di clichè di genere non lascia grande spazio di manovra ad una sceneggiatura serrata, tuttavia il finale potrebbe regalare qualche piccola apertura inaspettata. In fine dei conti, ogni tanto è anche questo il cinema che ci piace.
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