Una delle più grandi sfide per un film horror, è riuscire a dare continuità alla paura, senza scatenarla in momenti alterni. Ebbene, tra i titoli più recenti, Lights Out è quello che più riesce nell’impresa. Diretto da David Sandberg e tratto da un corto (poi diventato virale sul web) dello stesso regista, dura in tutto 1 ora e 20 minuti, rivelandosi un piccolo concentrato di terrore, con l’inquietudine che attanaglia dall’inizio alla fine.
L’orrore infatti ci investe sin dalla prima scena, promessa di un crescendo di tensione che viene mantenuta. Il prologo risveglia subito in noi una paura in fondo mai del tutto sopita come quella del buio, che ci assale fin da piccoli poiché da sempre si associa all’ignoto – e di conseguenza allo spaventoso -. A nascondersi nell’ombra in questo caso è un’entità terrificante dalle sembianze di una donna, la cui storia è al centro del mistero alla base del film. Un mistero che prende corpo in un manicomio e finisce per avvolgere la vita di una famiglia, disfunzionale già di suo. Così, il male non è limitato alla sola figura del mostro, ma si fa allegoria di un demone più grande e spietato quale la depressione, in cui sprofonda il personaggio di Maria Bello. La sua è una posizione simile a quella della madre protagonista di Babadook: imprigionata in un incubo da cui non sembra esservi uscita. Un tunnel oscuro che di riflesso inghiotte anche i suoi due figli, interpretati da Teresa Palmer e dal giovane Gabriel Bateman.
C’è dunque anche una sfumatura di dramma familiare tra i contorni da thriller psicologico e pop-corn horror del film. Un mix ben orchestrato in cui la dicotomia luce-oscurità è gestita alla perfezione a livello visivo, simbolico e di scrittura (non c’è angolo buio che non generi ansia). Sandberg non sfrutta nulla di nuovo, solo elementi simbolo del cinema di genere. Potrebbe sembrare un vincere facile, ma non lo è, poiché non è scontato riuscire a maneggiare la tradizione aggirando il prevedibile e il già visto: la sensazione di déjà vu è di regola negli horror e quando si riesce ad annullarla (almeno in gran parte) allora si può parlare di successo. Il sequel è già confermato.
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Mi piace
La tensione sempre costante, la dicotomia (anche simbolica) luce-buio.
Non mi piace
Qualche dettaglio intuibile in anticipo, ma solo per trovare il pelo nell’uovo.
Consigliato a chi
Afferma di non avere mai avuto paura del buio.
Voto: 4/5
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