La prima cosa da sapere su Lincoln è che non è un biopic sulla vita di Lincoln. Il film di Spielberg si concentra invece – con piglio romanzesco, a volte buffo, a volte melodrammatico – sulle strategie politiche con cui il sedicesimo Presedente degli Stati Uniti riuscì a far approvare il celebre XIII Emendamento della Costituzione, quello che abolì la schiavitù. L’approvazione, che era stata abbastanza semplice al Senato, incontrava invece grossi problemi alla Camera, dove alla fine passò con una risicatissima maggioranza dei due terzi. Era il gennaio del 1865.
L’argomento chiarisce gli obiettivi del film, perché focalizza la riflessione sul rapporto tra fini politici e mezzi istituzionali – ovvero lo sforzo bellico (e quindi il sacrificio di vite umane), gli scambi di favori, la propaganda. Negli stessi mesi, infatti, si stavano consumando gli ultimi fuochi della terribile Guerra di Secessione. Lincoln, in quel frangente, si trovò di fronte a una scelta fatale: trattare la pace con i rappresentanti dell’Unione Secessionista, disponibile a interrompere le ostilità, e compromettere così l’approvazione dell’Emendamento (molti Stati erano disponibili a votarlo solo perché convinti che in tal modo la guerra sarebbe terminata); o continuare con la guerra, compromettere altre vite, ma forzare così la mano ai deputati e mettere per sempre fine alla schiavitù.
Su questo crinale morale Spielberg costruisce un film assolutamente lineare a livello narrativo (la corsa contro il tempo per raggranellare i voti, i compromessi necessari a riuscirci, le arringhe, la votazione finale e liberatoria), ma efficace nell’esplicitare il suo messaggio. L’obiettivo non è tanto – o solo – quello di teorizzare le ragioni dell’antirazzismo (e ci mancherebbe), ma di utilizzare un tema al di là di ogni divisione, per scaldare la passione civile degli spettatori. Una passione che nel film assume opportunamente diverse facce. Quella di Lincoln, in particolare, non è affatto la maschera di un’ idealista senza tentennamenti, ma piuttosto quella di un uomo che conosce i tempi del popolo e le necessità della diplomazia. E per arrivare a compiere il proprio progetto non esita – né lui, né il suo più stretto e radicale alleato (interpretato da un magnifico Tommy Lee Jones) – a contraddirsi, a ricorrere a lusinghe e intimidazioni, perfino a improvvisare. Ma oltre a Lincoln ci sono molte altre figure di contorno in cui l’idealismo assume anche i connotati dell’irruenza, dell’ambizione, della rabbia, e perfino della guasconeria (i tre moschettieri/messaggeri). Mentre quasi mai questa si veste di doti “pure” come il coraggio o l’altruismo.
Su queste basi potrebbe sembrare arduo, persino contraddittorio, costruire un film in definitiva vigoroso e retorico, eppure il Lincoln di Spielberg – né troppo marziale, né troppo fragile, ma visibilmente piegato dalle responsabilità e dai dubbi – diventa il baricento di un quadro d’epoca in cui storia, aneddoto e mito hanno confini fragili, e sono tutti perfettamente funzionali alla forza con cui viene proposto il messaggio. Li mettono in scena la penna di Tony Kushner, le luci di Janusz Kaminski e il corpo di Daniel Day Lewis, cioè i più bravi nel proprio mestiere. Riempiono di bellezza e umanità quella che nelle mani di altri sarebbe stata invece solo una polverosa lezione di educazione civica.
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Scrittura, fotografia e recitazione dei protagonisti, sono d’assoluta eccellenza. La retorica è tenuta a bada da uno scavo realista nelle contraddizioni umane del protagonista
Non mi piace
Due ore e mezza di storia e melodramma: una ventina di minuti di sonnellino sono accettabili
Consigliato a chi
Ama le lezioni di storia ed educazione civica sorrette da eccezionale talento per la messa in scena e la narrazione cinematografica
Voto: 5/5
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