Virginia, Guerra di Secessione: un giorno come tanti una giovane educanda trova in un bosco John McBurney (Colin Farell), un soldato nordista ferito ad una gamba. Dopo averlo portato con l’aiuto di altre compagne al collegio diretto da Miss Martha (Nicole Kidman), il soldato viene curato e assistito da tutte le allieve con zelo e dedizione. L’entusiasmo che suscita nelle giovani e nella stessa direttrice risvegliano d’un tratto il collegio ed il fascino del soldato sulle pudiche signorine fa nascere una sorta di gara in gentilezze e sguardi a chi cattura di più il suo interesse. In particolare sono Miss Edwina (Kirsten Dunst), malinconica professoressa, e la giovane Alicia (Elle Fanning), audace e bella studentessa, a manifestare i propri sentimenti.
John, che non dimostra molta fretta di tornare sul campo di battaglia, ricambia con altrettanto rispetto per l’istituzione e cortesia per le donne che lo circondano, anche per il fatto che viene tenuto nascosto alle truppe sudiste. Ma la sottile carica erotica che la sua presenza accende si trasforma presto in qualcosa di più e in una notte silenziosa quanto i sentimenti repressi delle protagoniste John, ripresosi nel fisico e nello spirito, si riappropria del maschile ruolo di seduttore. Ma il desiderio sessuale fa perdere la lucidità, le cose precipitano e, innescando un susseguirsi di gelosie e cattiverie, il gruppo di donne non tarderà a compattarsi per intrecciare la propria vendetta.
Lontano dal vivo della guerra, di cui si percepiscono solo fumo e boati in lontananza, il collegio delle vergini omicide è una sorta di luogo a parte, un microcosmo incontaminato che procede nella sua tranquilla routine di obblighi, regole e piccole frustrazioni, fino a quando non irrompe in esso una presenza maschile. Dapprima visto con sospetto e curiosità, l’uomo si guadagna il favore di tutte le donne del collegio.
Ma la tregedia è dietro l’angolo e così come sono nate facilmente la vivacità e la civetteria femminile, allo stesso modo la subdola e lucida vendetta del gineceo non tarda a manifestarsi, dietro un velo di sorriso e cortesia. Alla fine tutto si ricompone e torna come all’inizio: un quadretto perfetto di figurine immobili nella cornice elegante dell’austero collegio, l’immagine che chiude simbolicamente il film. La tragedia si è conclusa e senza nemmeno troppo rumore.
Sofia Coppola rilegge il film di Don Siegel “La notte brava del soldato Jonathan” (1971), ma lo fa da una prospettiva femminile e stilisticamente in maniera del tutto personale, ricollegandosi – almeno idealmente – agli esordi de “Il giardino delle vergini suicide” (1999). Alla base di entrambe le pellicole c’è il romanzo omonimo di Thomas P. Cullinan, pubblicato nel 1966, a cui la regista ha dichiarato di essersi attentamente ispirata. Il film procede per impercettibili movimenti sotterranei, evita sbavature e adotta uno stile registico sobrio e impeccabile.
Se negli ultimi lavori Coppola si era lasciata prendere un po’ troppo la mano da presunte ambizioni di autorialità, finendo col realizzare film autoreferenziali e fondamentalmente snob, qui il romanzo a cui attinge crea una solida architettura narrativa che tiene in piedi tutta la pellicola.
Bravi e misurati tutti gli attori in una recitazione corale, dalla sempre impeccabile Nicole Kidman, algida e rigorosa direttrice del collegio, ma non insensibile al richiamo dei sensi, alla ormai lanciata Elle Fanning e a Kirsten Dunst, nei panni della dimessa e frustrata Edwina.
Un film in costume dal tocco letterario, un lucido studio sulla psicologia femminile, che a tratti ricorda visivamente “Picnic ad Hanging Rock” (1975) di Peter Weir e certe tensioni hitchcockiane.