Lo spietato - La recensione
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Lo spietato – La recensione

La gangster comedy di Renato De Maria, produzione originale Netflix con protagonista Riccardo Scamarcio. In sala l'8, 9 e 10 aprile e in streaming dal prossimo 19 aprile

Lo spietato – La recensione

La gangster comedy di Renato De Maria, produzione originale Netflix con protagonista Riccardo Scamarcio. In sala l'8, 9 e 10 aprile e in streaming dal prossimo 19 aprile

Lo spietato: la recensione
PANORAMICA
Regia (3)
Sceneggiatura (2.5)
Interpretazioni (3.5)
Montaggio (3)
Fotografia (3)

Nella Milano del boom economico, il calabrese Santo Russo (Riccardo Scamarcio), dopo i primi furti in periferia e il carcere minorile presso il Beccaria, vera e propria “palestra di vita”, decide di intraprendere definitivamente la scalata al potere criminale. La sua corsa inarrestabile alla ricchezza conduce l’esistenza di Santo a un bivio: da un lato la famiglia e il coté borghese, dall’altro l’amour fou per una donna francese bellissima (Mari-Ange Casta, sorella della più famosa Laetitia) e il sogno folle di una vita da Spietato. 

Liberamente ispirato al romanzo Manager Calibro 9, che fin dal titolo strizza l’occhio a Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo, caposaldo del poliziottesco all’italiana, Lo spietato (su Netflix dal 19 aprile dopo una finestra di tre giorni in sala) è il ritorno di Renato De Maria al racconto cinematografico di imprese criminali, da lui già affrontato nel più confuso e velleitario La prima linea, che incappava nel racconto scivoloso del terrorismo di estrema sinistra (da sempre un grande rimosso, storico e politico, del nostro paese) e aveva per protagonista lo stesso Scamarcio. 

Lo spietato per fortuna non ha di queste zavorre e vi si respira a pieni polmoni l’ebbrezza di un film pensato e girato con notevole energia e altrettanta freschezza, in grado di coniugare ritmi, strizzate d’occhio e momenti d’ispirazione scorsesiana. A cominciare dall’auto-narrazione in flashback del protagonista attraverso il tempo, dagli anni ottanta ai primi duemila, che non può che ricordare l’Henry Hill interpretato da Ray Liotta in Quei bravi ragazzi dello stesso Scorsese. 

Prerogative che fanno de Lo spietato una “serissima” gangster comedy, senz’altro derivativa, soprattutto nell’uso dei personaggi di contorno e della voice over del protagonista a fare da narratore onnisciente. Ma anche estremamente precisa e coinvolgente nella restituzione dell’hinterland milanese d’epoca e dello yuppismo scatenato e sanguinario di un bandito che sognava di essere come Gianni Agnelli e di ricoprirsi di soldi facili insieme ai suoi scagnozzi: un cane sciolto che si considerava prima di tutto manager e imprenditore di se stesso.

Santo Russo dopotutto è un uomo d’affari prestato alle scorribande in automobile e alle uccisioni “a sangue caldo”, come ama precisare lui rivendicando la passionalità calabra che lo contraddistingue. Così lontana tanto dalla pensosità dei suoi colleghi siciliani quanto da quei milanesi nei cui salotti buoni Santo cerca disperatamente di entrare, emulandone l’accento meneghino e lasciandosi sedurre fatalmente dal luccichio della Madonnina del Duomo, miraggio dorato di ricchezza che fa il paio con la polvere delle sparatorie per le strade di Buccinasco e Lambrate. 

De Maria veniva dal lavoro d’archivio Italian Gangsters ed è proprio durante le ricerche per il film precedente che ha ritrovato, molti anni dopo averlo letto, il libro da cui ha poi tratto Lo spietato. La sua regia non si limita solo a scimmiottare Scorsese ma maneggia il genere in maniera vispa e intelligente, con un tocco divertito e allo stesso tempo filologico. Una confezione retrò alla quale contribuiscono le belle musiche di Riccardo Sinigallia, ex membro dei Tiromancino, che guardano alle sonorità del nostro poliziottesco anni settanta (uno dei fiori all’occhiello dell’operazione è la cover cantata da Sinigallia di Malamore, splendido brano del 1977 cantato da Enzo Carella e scritto da Pasquale Panella). 

Riccardo Scamarcio nei panni del protagonista è senz’altro efficace: regge il film sulle sue spalle ed è un cattivo famelico e spiritato, respingente ma anche dannatamente magnetico, all’interno di quella che è indubbiamente una delle migliori prove della sua carriera. La sensazione è che abbia nelle sue corde un registro comico ancora tutto da sfruttare e che l’euforia recitativa che l’ha investito di recente, dall’omonimo film dell’ex compagna Valeria Golino a questo progetto passando per Loro di Sorrentino, abbia tirato fuori da lui il meglio. 

Menzione speciale, infine, per il personaggio della moglie devotissima e religiosa di Santo, interpretata da una sempre eccellente Sara Serraiocco, che da abruzzese azzecca in maniera perfetta anche il dialetto calabrese senza mai essere caricaturale. Un ruolo femminile approfondito, nei tormenti psicologici e nelle commoventi miserie che scaturiscono dal comportamento del marito, come di rado accade in film (e generi) così maschili. La sensazione è che la sua Mariangela sia il nucleo morale de Lo spietato, un controcampo etico che scalda sorprendentemente il cuore e getta sul film un’ombra struggente di rara forza.

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