A furia di pescare dal mazzo finisce che salta fuori il jolly. Tra le tante uscite di nicchia di questo periodo, Locke si scopre essere quel piccolo gioiellino che sempre più raramente ci capita di incontrare. Nato da un’idea basilare, privo di un budget consistente, men che meno di effetti speciali o scenografie corpose, il film diretto da Steven Knight (Redemption – Identità nascoste) ruota attorno ad un unico attore e ad un’unica situazione. Ciononostante sboccia come un fiore nel deserto.
Merito di una messa in gioco di una semplicità profonda, della performance di un grandissimo Tom Hardy e di una stesura in (quasi) tempo reale che ci accompagna per tutti i poco meno di novanta minuti del film mettendoci davanti agli occhi la vita di Ivan Locke, la vita di un uomo qualunque, proprio come se fosse la nostra, che mette tutto quanto a giudizio in un momento in cui destino, errori e conseguenze gli precipitano addosso in modo tragico.
Seguendo il filone dei film “claustrofobici” come Buried, Sepolto e Cosmopolis per citarne un paio, Locke si sviluppa in una notte londinese dove il protagonista finito il turno di lavoro in un cantiere si mette in viaggio sulla sua auto. Stanchezza, pioggia, pensieri. La vigilia della più grande colata di cemento Europea, la moglie e figli impazienti del ritorno a casa. Ivan Locke è padre, marito e uno dei migliori capo cantieri dal quale dipendono milioni di dollari. Ma c’è di più nella normalità di quest’uomo estremamente razionale; come tutti ha uno scheletro nell’armadio, una scelta che il destino ha deciso di scagliargli addosso in questo momento delicato. E Ivan è padre, marito e lavoratore dalla grande correttezza, onestà e fiducia. Ma prima di tutto è un uomo dalla più cristallina lealtà interiore.
Brilla di questo la stella di Tom Hardy che pur non essendo travolto dalla celebrità che film come Il Cavaliere Oscuro gli avevano riservato, riesce a consacrarsi definitivamente quale uno dei più bravi attori in circolazione. Familiarizziamo velocemente con il suo volto, perché sarà l’unico che vedremo in tutto il film. Apprezziamone l’interpretazione eccellente, fatta solo di espressioni, dialoghi e monologhi. Invidiamogli la fermezza, l’essere risoluto, la lucidità mano a mano che il suo mondo sembra sgretolarsi. Se una sceneggiatura si basa esclusivamente su un personaggio, allora che sia fatto bene. L’Ivan Locke di Hardy è perfetto.
Il resto è la mano di Knight, regista al secondo lungometraggio dopo una carriera di sceneggiatore, ruolo per il quale la fantasia non gli manca. Hardy a parte, la forza del film si costruisce nella gestione degli eventi. Il telefono del protagonista è una polveriera. Gli interlocutori si scambiano tra loro in modo discontinuo e frenetico. Il ritmo è gestito dai dialoghi, ora drammatici, scanditi da numerosi e pesanti silenzi, ora ricchi di pathos, dove sono i pesanti botta e risposta a farla da padrona. Un fiume di sentimenti che mettono a dura prova l’emotività di un personaggio che decide di affrontare di petto la propria vita, ben consapevole del prezzo delle conseguenze.
Locke è un gran film. Una piacevole sorpresa di qualità. Ha una colonna sonora bellissima, mette al centro un personaggio dalla grande moralità senza mai spingerlo sopra le righe. L’attore che lo interpreta è magnifico. A collegare il tutto, una scelta di vita e le sue relative conseguenze. Affonda nell’anima e accarezza la purificazione. Semplice e allo stesso tempo eccezionale.
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