Logan: la recensione di Cristian_90
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Logan: la recensione di Cristian_90

Logan: la recensione di Cristian_90

Finalmente Wolverine trova la dimensione che gli appartiene grazie al regista statunitense James Mangold (Kate and Leopold; Innocenti bugie; Wolverine – L’immortale) che con l’ottimo Logan – The Wolverine riesce ad immergere pienamente, e per la prima volta, il supereroe di casa Marvel nell’habitat a lui più congeniale, fatto di violenza e, oramai, di decadenza fisica e interiore. Mangold partecipa anche alla sceneggiatura del film insieme a Scott Frank (Minority Report; The Interpreter; Wolverine – L’immortale; Assassin’s Creed) e Michael Green (i prossimi Blade Runner 2049 e Alien: Covenant). Se per gran parte del girato a parlare sono le mani e gli artigli, per il resto il copione risulta ben scritto, mentre la storia, con la giusta dose di dramma, scorre piacevolmente e con buona intensità. Fotografia di John Mathieson (Il gladiatore; K-PAX – Da un altro mondo; Robin Hood; X-Men: First Class; il prossimo King Arthur – Il potere della spada). Musiche di Marco Beltrami (Scream; Hellboy; Repo Men; The Woman in Black; World War Z; Wolverine – L’immortale; Snowpiercer; Ben Hur [2016]). Mai visto un così struggente e cupo Hugh Jackman nei panni del mutante con lo scheletro di adamantio, personaggio a cui dice addio dopo ben 17 anni. Super-mega-stra meravigliosa la piccola Dafne Keen, un misto di espressività e brutalità raramente visti in un attore di pari età.
Anno 2029. Qualcosa di terribile è accaduto ai mutanti, oramai sull’orlo dell’estinzione. Logan (Hugh Jackman), invecchiato, claudicante e visibilmente malato, lavora come autista e vive in una fonderia abbandonata insieme al mutante Calibano (Stephen Merchant) e al novantenne Charles Xavier (Patrick Stewart). La Essex Corp. ha deciso di sopprimere il programma chiamato “Transigen” che aveva lo scopo di creare mutanti in laboratorio, servendosi di bambini da usare come armi al proprio servizio. Alcuni dei giovani soggetti riescono però a scappare dalle grinfie della Essex e tra questi vi è la piccola Laura Kinney (Dafne Keen), la quale trova riparo presso le uniche persone in grado di poterla proteggere: Logan e soci. Da qui inizierà l’inseguimento degli scagnozzi della Essex Corp., capeggiati da Donald Pierce (Boyd Holbrook), nei confronti dei ragazzini per eliminarli definitivamente, e Logan, ovviamente, si troverà pienamente coinvolto nella lotta che ne seguirà.
James Mangold, che mise le mani sul supereroe Marvel già in Wolverine – L’immortale, spinge ai limiti massimi l’emotività di Logan, ponendolo a simbolo della decadenza dei mutanti e come serbatoio di tutte le sofferenze patite da questa razza ormai al tramonto ma che, come ogni ciclo che si rispetti, si appresta a risorgere; una rinascita che prende le sembianze di Laura Kinney, piccola mutante che ha in sé il DNA di Wolverine. Il film possiede tutte le caratteristiche, o quasi, che non fanno parte di un classico cinecomic. Logan è una storia di sofferenza e patimento in cui soltanto gli artigli dell’amato protagonista stanno a ricordarci che siamo di fronte a un prodotto Marvel. Si tratta sostanzialmente di un’opera a sé, che viaggia sui binari dell’emotività e non su quelli, ben noti, della spettacolarità a tutti i costi. Il ritmo che Mangold dà alla sua opera è perfetto, fatto di momenti pacati, ma utili alla riflessione, e di combattimenti dal ritmo serrato e mai così visivamente violenti. Altro aspetto che distanzia questo film soprattutto dai precedenti episodi legati agli X-Men e allo stesso Logan è senz’altro il realismo, ovvero l’intenzione del regista di mettere in chiaro una volta per tutte che i mutanti non sono altro che esseri umani la cui diversità li costringe a vivere emarginati, bistrattati e considerati un pericolo da eliminare a causa di un mondo troppo inetto per guardare oltre la superficie delle cose. Il tema della persecuzione del ‘diverso’ è dunque molto sentito e trasferibile nella situazione reale odierna. Mangold ci tiene a sottolineare quanto la realtà sia molto lontana dalle fantasiose storie a fumetti che raccontano le incredibili gesta di esseri che sparano raggi dagli occhi o manipolano gli elementi. Le 2 ore circa di film vedono spesso indugiare la cinepresa sui volti dei personaggi più emotivamente segnati dalle esperienze e dai dolori passati, ovvero Logan e Xavier, al fine di far sentire lo spettatore il più possibile partecipe delle loro sofferenze. Nel film gioca un ruolo fondamentale la famiglia e il conforto che deriva dai rapporti umani che si instaurano in essa. Logan si prende cura di Xavier e, da un certo punto in poi, dovrà badare come un padre anche alla piccola Laura. Il viaggio che ‘padre e figlia’ intraprenderanno sarà anche un lungo percorso di avvicinamento affettivo mediato dall’anima gentile di Xavier, intenzionato da sempre a far riemergere il lato più umano di Logan. Diversamente dagli altri cinecomics, in Logan non troviamo il solito super villain da sconfiggere ed è stupefacente quanto la cosa funzioni perché gli scopi del film sono altri, più profondi, non superficiali e scontati. Il supereroe si spoglia della tuta I-tech e indossa i panni dell’uomo fatto di carne e debolezze. Jackman saluta Wolverine con una prestazione da incorniciare. Il personaggio mostra i segni di una vita troppo spesso malevola con lui, che ha saputo regalargli importanti affetti con una mano soltanto per toglierglieli con l’altra. Logan è visibilmente malato, brutta copia del selvaggio e atletico superuomo visto in passato, ed è rassegnato, in attesa che la vita si stanchi di lui. Più che mai in questo capitolo ad emergere sono l’umanità di Logan e la violenza a cui è stato spesso costretto a fare uso durante la sua vita. Insomma, il protagonista funziona alla grande e il contesto in cui è inserito non è altro che lo specchio della sua interiorità. Espressività e credibilità impressionanti fanno di Dafne Keen la più bella sorpresa di questa pellicola. Degna custode del DNA di Wolverine, la piccola sa mostrare spietata cattiveria e aggressività adatti al ruolo. Se Logan dunque, da un lato, è il simbolo del tramonto, Laura Kinney è la luce accecante di una nuova era. E’ a questo punto che Logan si rende conto che ha un ultimo dovere da compiere, non per sé stesso, ma per il futuro di una nuova generazione. Escludendo qualche scelta un po’ troppo forzata, il film, in definitiva, è costruito ottimamente ed è emotivamente coinvolgente. L’apparente buco di trama riguardante il misterioso recente passato dei mutanti che li ha portati quasi all’estinzione riesce a non avere troppa importanza in un film in cui quello che più conta è il futuro. Le scene più toccanti non sono mai fuori posto e paiono ogni volta riassumere, attraverso pochi sguardi e parole, ciò che si è appena lasciato alle spalle. Il politically correct è stato abbandonato dall’industria già in Deadpool e l’ottimo riscontro avuto da quest’ultimo avrà inciso sicuramente sulla resa esplicita di violenza e linguaggio anche in Logan. Oltre a ciò, si esce dalla sala chiedendosi se si sia appena assistito o meno ad un film targato Marvel anche perché è davvero difficile trovare per questo film una collocazione coerente all’interno del filone narrativo da cui dovrebbe derivare. L’ultimo episodio della saga spin-off dedicata al mutante con lo scheletro di adamantio non è altro che un onorevole passaggio di consegne da una generazione, oramai vecchia e consunta, all’altra, la quale ha l’ardito compito di evitare gli errori del passato e ripartire dai buoni principi che i predecessori hanno cercato di costruire con tanta fatica.

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