L'ora legale: la recensione di loland10
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L’ora legale: la recensione di loland10

L’ora legale: la recensione di loland10

“L’ora legale” (2017) è il quinto lungometraggio del duo Salvatore Ficarra e Valentino Picone: attori, sceneggiatori e registi palermitani.
Film semplificato, ordinariamente mite, da bere come un sorso d’acqua quando la calura non è eccessiva ( o forse un tè caldo neo tempi più freddi). Una storia alimentare senza grosse pretese, dove le battute consentono di sorridere e ridere; una volgarità annullata (rispetto ad altre pellicole da ‘commedia’) e un modo di porsi abbastanza accattivante. Un film, insomma, di puro intrattenimento pomeridiano dove il gioco della coppia ora funziona bene, ora pare appiattirsi su repliche di ciò che è stato già detto. Forse la ripetizione di schemi e di voci, come sicurezza di piacere e di piacersi limitano un po’ la storia così essa risulta fine non propriamente incisiva al massimo. Ecco un film che tende alla minima esposizione e non va oltre il tragitto di un (quasi) macchietti-smo con siparietti e sketch di assecondata furberia come un buon bicchiere di vino da tavola.
Film onesto e concentrico, solare e distensivo, linguacciuto e scorrevole, lamentoso e (ir)regolare. Ecco che ciò che sembra un pregio diventa l’onda di un difetto generale: la creanza di supporre che il Paese micro e il Paese macro coincidono (o meglio si affratellano) in tutto. Certo, è vero che il sogno di cambiare per non cambiare nulla ruota attorno ad un’Italia ancora da costruire (e chi sa quando dovremo aspettare) ma lo stratagemma di ribaltare la convenzione di essere tutti dalla stessa parte (come un’assemblea virtuale e anche reale) o meglio di essere dalla parte dei sempre furbi in ogni caso (e comunque) coinvolgendo tutti anche il laconico sindaco (cosiddetto) intransigente dopo le dimissioni forzate è misura di sano piatto dileguante e saporosamente commestibile per un pubblico benpensante (tra un pop-corn e una sana risata) ma non riempie (o almeno crede di farlo) la contro-misura di uno spettatore cinematografico che ha (avrebbe) voglia di vedere un film non troppo soporifero e incisivamente refrattario al facile consumo (post-sala-di-proiezione). Ecco che la sensazione (e anche oltre? Di assistere ad una pellicola allineata al deja-vu condensato in un pomeriggio silente e alquanto vuoto di cazzeggio (dopo un caffè con latte e un buon pasticcino siciliano).

A Pietrammare ci sono le elezioni per il sindaco (subito si pensa al ‘grande’ duo Franco e Ciccio) e i residenti vogliono ‘scardinare’ la corruzione (subito il gioco doppio fa pensare alla ‘sicilianità’ classica e gattopardesca). Tutto sembra prevedibile e facile per i due cognati Salvo e Valentino (cognati del nuovo sindaco Pierpaolo Natoli) anche se al carro dei vincitori c’è posto per tutti (parenti compresi). Il gioco non piace più quando le ‘regole’ devono essere rispettate e il p(P)aese è in subbuglio ad iniziare dal parroco Don Raffaele. Le dimissioni (forzate e plebiscitarie) del sindaco eletto riportano il vecchio sindaco (Gaetano Partanè) corrotto a rimettere tutto in (dis)ordine.
Ecco la commedia di antico respiro (italiana) si alza e viene fuori dagli armadi perché ciò che rimette tutto in sesto viene giocato come una pochade semplice e anche elementarmente televisiva (veda-si regia).
Film di piccolo linciaggio o meglio di una commedia di uso corretto ma che non va oltre il ‘piccolo gioco’ privato di una coppia simpaticamente vedibile Certo le situazioni sono anche piacevoli ma il pre-finale (in massa) e il finale (non ci sono limitazioni tra parcheggio, traffico e ciclabile) aspetta il trambusto politico di un ‘consiglio’ inesistente (forse è meglio rivedersi ‘L’ingorgo’ di Luigi Comencini per capire dove il post-moderno ci ha portato -oggi- ma in questo siamo in altra direzione e in ben altro film dove il canto del cigno della ‘Commedia’ era al massimo seppure dormiente).
Il cast non è il massimo in tutti i ruoli; Vincenzo Amato (Pierpaolo Natoli) recita in sottomisura e già da perdente, Tony Sperandeo (Gaetano Patanè) si ricuce l’ennesimo personaggio con il solito cliché e lo stereotipo del ‘capo-corrotto’, Leo Gullotta (Don Raffaelle) alimenta lo sguardo con pupille rotatorie come ammiccare alla scaltrezza di un attore consumato (veda-si l’effetto alla massa osannante le dimissioni del sindaco), Francesco Benigno (Paride) alleggerisce la vena ricordando altri film migliori, Eleonora De Luca (Betti Natoli) annuisce alle battute con tono un po’ soporifero. Alla fine la loro (bella) figura è dei vigili (lo schieramento in avanzata confluisce nel fanta-western) e soprattutto del caratterista Antonio Catania (Michele) che aspetta ruoli a destra a manca senza considerare un suolo centrale in qualche lavoro al più presto. Ficarra e Picone fanno loro stessi dalla tv al cinema. Resta la loro simpatia al (salvataggio del) film (come la testa del pescespada).
Regia ordinariamente di livello non eccelso. Piatto (come) senza cibo (commestibile).
Voto: 6-/10.

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