Non appartengon’alla generazione dei Gaber o dei Paolo Rossi, del ’68 o del ’77, dei nati usando cabaret e comicità com’arma impropria, strumento di lotta di class’e denuncia sociopolitica. Sono della mia generazione, la successiva cresciut’a Dandini, “Cuore” di Serra, “Zelig off”, Gialappa’s, dal respiro più ampio e profondo, meno local e più global. Erano quelli dei “casi umani” studiati e ri(rap)presentati con superlativa bravura. Poi, a uno a uno, hanno fatto dietrofront downgradandosi e nella loro retroguardia son diventati sussiegosamente impegnati, sono sces’in campo, si son schierati nell’agone della (in)civiltà nazionale, dai Guzzanti agl’Albanese e adesso pure loro, Ficarra & Picone. Non si ride, non ci diverte, non si scherza, non c’è ironia, satira o sarcasmo, son scivolati per direttissima nella cup’amarezza, nel disperato disfattismo, nella drammaticità irrimediabile. Lo slancio ideale è crollato sotto le macerie della triste realtà. Nessun guizzo residuo: campane a lutto, rigor mortis, cinica cattiveria, per loro la commedia sagace e salace è un lusso ch’il nostro Paese non ha più il diritto di permettersi. Mi defilo.
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