L'ora nera 3D: la recensione di Gabriele Ferrari
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L’ora nera 3D: la recensione di Gabriele Ferrari

L’ora nera 3D: la recensione di Gabriele Ferrari

Timur Bekmambetov è un coraggioso regista e produttore di origine kazaka che negli ultimi anni si è imposto all’attenzione degli appassionati di sci-fi-e-dintorni grazie a esperimenti interessanti (il mockumentary Apollo 18, da noi inedito), fumettoni all’americana (Wanted, tratto da una graphic novel) e curiosi romanzi quasi-fantasy (I guardiani della notte). Tutto ciò che va per la maggior a Hollywood, insomma, ma ideato e prodotto nella Grande Madre Russia: una boccata d’ossigeno per tutti coloro che non ne possono più dell’americacentrismo del cinema odierno.

È con un po’ di delusione, ma anche un certo divertimento, che possiamo ora aggiungere al nutrito curriculum di Bekmambetov una nuova categoria: il B-movie anni ’50. Ambientato in una Mosca da cartolina che viene invasa dagli alieni, L’ora nera sembra uscito dal cassetto delle idee scartate di Roger Corman, e oscilla costantemente tra il divertente e l’imbarazzante, per idee, sceneggiatura, recitazione e realizzazione. Lo spunto è interessante: gli alieni sono invisibili, e si annunciano solo perché, nutrendosi di onde elettromagnetiche, fanno scattare qualsiasi congegno elettrico a cui si avvicinano. Li vediamo solo sotto forma di natalizie luci arancioni che scintillano un istante prima di uccidere, riducendo in polvere le proprie vittime. Niente di rivoluzionario – è almeno dagli anni ’30 del secolo scorso che si raccontano storie sugli invasori invisibili –, ma in grado di regalare, almeno sulla carta, momenti di tensione.

Completamente sgonfiata, però, da una sceneggiatura priva di logica: per esempio, cosa spinge i protagonisti (Emile Hirsch, Max Minghella, Olivia Thirlby e Rachael Taylor) a pensare che la soluzione migliore per sfuggire agli invasori sia recarsi all’ambasciata americana di Mosca? Oppure, perché gli alieni cambiano la loro strategia d’attacco (da “ti salto addosso dal nulla e ti polverizzo” a “protrudo tentacoli arancioni per catturarti”) nel momento in cui i Nostri vengono in possesso di una pistola a microonde in grado di danneggiarli? Sarebbe interessante discuterne, se solo il quasi-esordiente Chris Gorak si fosse ricordato di caratterizzare in qualche modo i suoi personaggi invece che ridurli a carne da macello che passa tutto il film a spostarsi da un luogo all’altro senza uno scopo preciso. Avendo a che fare con quattro figure di cartone – ed è doloroso dirlo di gente come Emile Hirsch e Olivia Thirlby, che altrove hanno dato prova di grande talento – è difficile appassionarsi a quello che succede.

Si potrebbe andare avanti per migliaia di parole a ragionare sui difetti di L’ora nera: gli effetti speciali amatoriali, i dialoghi infantili, il 3D troppo buio per essere vero, il montaggio confuso (con tanto di sequenza iniziale con un’inquadrature riciclata tre volte in trenta secondi). Ma non lo faremo, per non annoiarvi. C’è un solo modo per approcciare un film come questo: mettendo da parte il senso del ridicolo e godendosi un prodotto che non avrebbe sfigurato in un drive-in texano negli anni ’50, magari come double bill insieme a pellicole tipo L’assalto dei granchi giganti o I diafanoidi vengono da Marte*. Se avete una passione per i prodotti di serie Z, L’ora nera potrebbe diventare il vostro nuovo culto. Altrimenti statene pure alla larga.

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Mi piace
La sincera ingenuità con cui è imbastito il più classico dei B-movie. Il personaggio di Vika, la biondina russa con pistola.

Non mi piace
Più o meno tutto, in particolare l’agghiacciante prestazione attoriale di Emile Hirsch e Olivia Thirlby. E il finale, che prelude a un inevitabile sequel.

Consigliato a chi
Ama farsi quattro risate in compagnia guardando un film sbagliato.

Voto: 2/5

*sì, lo sappiamo, questo non è degli anni ’50, ma veniteci incontro.

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