“Loro 1” (2018) è l’ottavo lungometraggio del regista-sceneggiatore napoletano Paolo Sorrentino.
Film libero e commediante, dove il guru televisivo oltre che la piccola storia di debacle i istrioni, sono spalmati da un incipit promiscuo, lungo e carnevalesco. Tra figlie e figli, gnocche e super bonazzi presunti il nostro giro è quello sorrentiano inizia in quel di Taranto dove l’agente Morra futuro presenterà tutto e vuole arrivare a Roma per conoscere Lui.
Ecco che culi, tette, cocaina, polvere bianca, sniffa-moda, corruzione, appalti, corpi esposti, movenze allegoriche, bacini invogliati, peli, penetrazioni, succosi, linee atroci, balli e feste a iosa, ecco che questo è molto altro è parvenza di un buon mattino dove ogni aperitivo può essere una goduria con una femmina di turno.
Tutto appare in eccesso e tutto non appare vero, quasi un falso d’autore (e il lancio allarga la visuale già tra vero e falso) , il girare dell’inquadratura tra corpi ammiccanti dentro, a fianco, sopra, sotto, vicino e allungati ad una piscina saettano il mondo icona di una voluttuosità macera e salutare, corposa e sincopata, leggera è accasciata da elucubrazioni di potere assortito.
L’invito al commensali-smo post-modernissimo di una festa ammaliante e priva di vita, monstre di schermo in piccolo, di abbassamento pubblicitario dove la TV non è dietro a noi ma dentro ogni rettangolo privo di parole. Feste orgiastiche senza scrupolo all uno dove la commedia all’italiana è priva di venature (anzi assente) frustanti e tiri di fionda…arriviamo ad un saporito piatto oltre l’allegoria, dove il piccolo escamotage va a finire a letto, su una barca, in un salone è vicino ad un divano. I sessi oltre misura per godere oltre al misero rimasuglio di soldi rimasti. E l’eccesso non è privo di un compiacimento che ti scivola via senza accorgerti.
Quando vedi Morra prendere da distrofia la solita femmina con un tatuaggio di Lui sulle parti basse e allora ridi, vedi, alzi, stizzisci e, magnanimo, ti guardi attorno. Ecco tutto sembra di altri….invece siamo noi che siamo dentro.
Non è Lui ma è tutto il resto i Loro che fanno paura, il berlusconismo in ogni anfratto, da Drive in al Mike nazionale, dai grattacieli impossibili ai quartieri romani di un neorealismo affranto è schiantato. È il cinema neo-torrentizio quasi vernacolo-ante e puttaniere. Non è lei una …..ma tu sei una…ecco come Silvio risponde a …..per salvarlo da una carriera politica ridotta al maschio da letto e corruttibile per una tetta. E naturalmente è fuori dal Suo giro. Che diatriba sembra di vederci quasi chiaro…
E la pecora ( non ‘dolly’) che si schianta in quel salone della villa dove un mega schermo tv è in programmazione tra futilità e pubblicità fino a quando il condizionatore arriva a zero. Ecco che zero è il livello di partenza del film. Le parti basse e il di dietro sono lì a mostrarsi e mostrarci la corruzione tutta. Quale vergogna o titubanza. Per avere appalti sicuri il Morra offre volentieri la sua gnocca di turno. Si eiacula senza vedere ma si immagina tutto il visibile.
Non si guarda inverecondi ed estasiati, si guarda divertiti in una blasfemia salutare di corpi in ogni punto: il vuoto non è qui o meglio tutto si deve riempire nel candore-sgusciante della ripresa del napoletano. Un strafottente mondo, come dire Terry Gilliam sovrastato da iconoclasti luoghi colorati, accesi, spinti e infuocati. Tutto sopra e sotto sopra.
‘Tutto non è abbastanza’. Ecco che quando il tutto non soddisfa figurarsi aver costruito tutto da se. Basta non alterarsi e pretendere di essere sopra perché ‘dio’ non è ‘Lui’. Ecco cosa si fa per essere onnipotenti sopra e avere la crisi del settimo giorno per non essere al potere. ‘Farò ancora il presidente del Consiglio’ ama ripetere il Berlusa-Servillo a pochi intimi e alla cara (in tutti i sensi) moglie ( chi sa ancora per quanto tempo…) Veronica-Ricci. Basta ricordare il loro primo bacio e avere una ‘domenica bestiale’ con Fabio Concato che viene all’occorrenza per regalare un finalino di chiara fallace reminiscenza televisiva (la canzone di cui Mike…osannava in qualche suo quiz…uno dei tanti..). E Apicella-Servillo è uno spasso con camminate sul prato e erba rasa al suolo per una dedica sempre pronta…e un duetto quasi pronto…
Mario Monicelli, poco e già abbastanza per sbarcare il lunario: degli scapestrati, degli ultimi sono lì per poter racimolare danaro…E ne ‘I soliti ignoti’ è già abbastanza vedere i commedianti italici senza un giro di manovella. Ecco che in Paolo Sorrentino non è mai abbastanza vedere i ‘loro’ che succhiano a più non posso senza mai fermarsi. Il salto di qualità di ‘mezze cartucce’ che si rivendono in ogni gigiona sortita. Al veliero dell’isola che c’è…mai abbastanza e piena di gloria. Dal sorriso agrodolce al misto-fritto salato per molti.
Lui, si deve arrivare a Lui a qualunque costo. Lui il mestolo d’oro (e l’oro) che gira e rigira l’aperitivo bianco di polvere non offuscata
Orge, ornamenti, orpelli, onnipresente, omnia, onirico e ostinato. Non c’è verso alla Villa e lungo i piaceri succede di tutto alla luce del sole. Come non mai Lui.
Ricco….tutto non è abbastanza. Tutto e di più. Il viso posticcio di Servillo è un piacere visivo. Si ride senza accorgersi che si ride di noi. Toni è prima e seconda, forse…già terza repubblica. Da Andreotti al Cavaliere, forse per arrivare al Politico in crescita or, ora..
Ombra di se stesso. Il regista si fa ombra, con acume solare, della sua bravura. Mai doma l’opera meritoria di saper riprendere ma in alcuni frangenti (e anche di più) siamo
1 ecco come si sente. Unico. Il primo. Il nome di ‘dio’ appare vice. Una battuta sentita ai tempi (è in tempi non sospetti), l’autista del Cavaliere è il vice di cui sopra. Uno sberleffo alle feste normali, ma pi quali dove in un Paese ogni giorno è una compleanno con tavoli sovrappiù e pieni. Ma chi ha oltre e oltre cosa fa. Festini da Taranto a ‘Ville Smeralde’, da yacht a barche sovra-lusso, a bagni denudati e a pelurie ingombranti. È Lui che prende binocolo per quasi compiacersi dei contorni. Un Servillo a movenza gambe larghe, sorrisino petulante e linguaggio adescante. Il posticcio è arrivato da un po’, è al potere. O meglio l’intorno, senza dire, è potere. Un certo regista americano disse ‘siete arrivati all’entarteiment ‘ politico…siete arrivati come noi…..cioè alla schifezza senza sosta. Stiamo arrivando al pozzo nero o siamo già dentro.
Sorrentino ammalia e gira, rovescia e balla, illumina e spazza ogni idea di immagine pura, tutto oltre al quadrato, felliniano? O forse è solo un mentore vero di un colore posticcio tra Ligabue e Van Gogh dove lo spessore pare inutile e poco. E poi sono tanti i volti che in fondo è un continuo virtuale. 90121 (tipo telefilm) in quello di Roma o Sardegna con sesso spinto e sniffa-mento. I ragazzi sono evoluti.
Toni Servillo (Lui), guanciale, Riccardo Scamarcio (Sergio), cazzone, Elena Sofia Ricci (Veronica), amichevole, Fabrizio Bentivoglio (Santino), inginocchiato, Giovanni Esposito (Mariano), attaccato, Ugo Pagliai (Mike), afono, e Ricky Memphis (Riccardo), tonnato: tutti ammaestrati e fugaci, visionari e paludati, corporei e misti. E’ il lunario del set rovinato e scaduto, è la ripresa girotondo di un cinema che cala ogni ‘porcheria’ da racconto. La ‘vanità italica’ è sorrentiniana (per un cinema che può appesantirsi e stufare ad ogni sguardo).
Fotografia di clamore e accessoria, da conclamare nella ‘bellezza’ dei vitalizi.
Regia giostrante e accademica, libera e autoreferenziale.
Voto: 6,5/10 (***)