Con solo due lungometraggi all’attivo potrebbe essere presto per dichiararlo, ma già da questo paio di lavori è lampante l’interesse per la regista Rose Glass, inglese classe 1990, per l’eccesso della religiosità e dei suoi degradanti effetti. Nel suo esordio, Saint Maud, targato A24, tale atteggiamento era studiato nel suo contesto più solito.

L’intensa spiritualità della protagonista sfocia ben presto in fanatismo e nell’impossibilità di distinguere la realtà dalla finzione, portando il personaggio alla mancata integrazione nel tessuto sociale e ad ulteriori e inevitabili conseguenze. Per quanto la crudeltà dell’epilogo abbia permesso al film di distinguersi per approccio stilistico e di far puntare gli occhi di tutti verso la propria regista e i suoi prossimi passi, Saint Maud non indaga tematiche mai esplorate.

Si potrebbe accusare Love Lies Bleeding della stessa semplicità contenutistica, come del medesimo intreccio dall’immediata risoluzione; eppure questa opera seconda consolida la fascinazione della giovane autrice verso individui assorbiti dal proprio credo, portando tale condizione in un territorio più inusuale.

In una palestra della periferia statunitense degli anni 80’, Lou (Kristen Stewart), la proprietaria dello stabile, intraprende una passionale storia d’amore con Jackie (Katy O’Brian), ambiziosa bodybuilder ossessionata dal perfezionamento del proprio corpo, ennesimo deviato american dream. Attorno a questa malata necessità di costante miglioramento fisico si svolgono i loschi affari di Lou Sr. (Ed Harris), padre disconosciuto da Lou.

Si passa quindi da un’impossibile ricerca dell’immacolatezza dell’anima all’inseguimento di una corporalità superumana, entrambi desideri irraggiungibili che portano i rispettivi individui all’isteria. La fenomenale performance di Katy O’Brian riesce a dare vita al personaggio di Jackie, donna resa bestia dai suoi ideali e dai disperati tentativi di diventare la migliore versione di sé stessa.

Accanto a lei Kristen Stewart, più in sottrazione della comprimaria, ma estremamente funzionale, porta sul grande schermo il contraltare di Katy: una protagonista sconfitta, schiacciata da un’identità e un vissuto che non le appartengono, introiettati a forza da una scontate e tossica presenza paterna.

Queste due fisicità antitetiche si incontrano e scontrano, metaforicamente e non, con un risultato finale decisamente erotico, amplificato da una certa versatilità dietro la macchina da presa. Il dinamismo di Rose Glass, che non scarta nemmeno le idee e le soluzioni visive più assurde e anacronistiche, intrattiene efficacemente il pubblico, oltre a dimostrarsi funzionale nel messaggio che vuole rappresentare.

Love Lies Bleeding non si limita a mostrare una particolare perversione verso il perfezionamento fisico, ma ne mostra anche l’altra attualissima faccia della medaglia: l’accettazione del corpo femminile come mezzo per sopraffare l’oppressione maschile. Le pistole, immediata estensione corporea dell’uomo e attrezzatura essenziale per il lavoro di Lou Sr., vengono spesso contrapposte alla figura mastodontica di Katy, che vuole far di sé stessa la propria arma con la quale sgominerà le malvage presenze contrarie al suo neonato amore.

Rose Glass si avvicina più di qualunque altro autore in precedenza alla poetica di David Cronenberg, radicalizzandola con Love Lies Bleeding a un contesto reale e alle urgenze odierne.

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