Tutto si può dire di Trumbo tranne che difetti di un certo fascino didattico sempreverde, non tanto quello della trattazione d’inattaccabile morale quanto quello dell’insegnamento spassionato, quello tale di un inflessione affettuosa non bacchettona, rilassata e non rigidamente esigente. Il cullare avviene qui nell’involto della bobina maccartista, caccia alle streghe anti-comunista tutta protagonista del dietro schermo hollywoodiano post-guerra, arricciata nell’effervescenza, nel pimpante sapore per una zuccherata cornice. È infelice però che quest’ultimi attributi faccina rima con il superficiale, con l’assenza di un tassativo fervore investigativo, a setaccio di verità storica e di scandali passati inosservati, con lo sbrigativo riporto di personalità catalizzatrici. Non c’è grinta nella prima metà, addolcita dal semplicistico rendiconto del malcontento sociale americano: nei salotti hollywoodiani l’acidità è servita elegantemente, ma le vere scazzottate ideologiche sanno di ben altro. La seconda metà fortunatamente è meno impegnata, più genuina: una risvegliata, appassionata narrazione che corre sul ritmo di una macchina da scrivere in vasca da bagno, una sbuffata di tabacco confortante, una rivincita presa in sala di proiezione. Canton, in totale copertina, risente di questi squilibri, interponendosi prima con una mimesi stucchevole e poi con la adesione dell’attore navigato scrollandosi gli istrionismi di turno, che invece accompagnano per tutto il corso una terribile Helen Mirren. Non è quindi difficile concludere che il film vesta panni di qualità mediani, per lo scialacquo di certe potenzialità: poteva essere un superba parabola sui (falsi) luccichii del leggendario star system, e invece si risolve in compitino, Appassionante, ma sempre un compitino.
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