L'ultimo dei templari: la recensione di Luca Ferrari
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L’ultimo dei templari: la recensione di Luca Ferrari

L’ultimo dei templari: la recensione di Luca Ferrari

Salomonica retorica cristiano-medievale. Un ibrido tra il “King Arthur” (2004) di Antoine Fuqua e “Il nome della Rosa” (1986) di Jean-Jacques Annaud. Film già visto. In tutti i sensi. Più e più volte. Diretto e girato con più originalità. Prima ancora della sequenza iniziale, c’è già qualcosa che non torna. Rare volte entrambi i titoli c’entrano poco con la storia. Non è esaustiva la versione italiana “L’ultimo dei templari”. Men che meno l’originale inglese “Season of the witch”, letteralmente: la stagione della strega. Tanto il Templare, per altro disertore, quanto la strega, sono personaggi quasi secondari. Il protagonista vero è il Diavolo nella sua incarnazione tangibile e alata, completo dei più mediocri stereotipi cattolici. Siamo nell’Europa del XIV secolo infestata dalla peste. L’umanità dimostra tutti i suoi limiti e ignoranza, cercando facili capri espiatori (donne accusate di malefici) per spiegare questo morbo implacabile. Una giovane ragazza (l’esordiente Claire Foy) sospettata di stregoneria deve essere scortata fino a un Monastero dove i monaci, in possesso di un magico libro scritto da Re Salomone, le faranno un salvifico rituale. A scortarla, un frate invasato, due templari disertori, Behman (Nicolas Cage) e Felson (Ron Perlman), un padre distrutto per la perdita della figlia, una guida poco affidabile e un giovane ansioso di diventare cavaliere. Il viaggio è denso di pericoli e Behman appare tormentato. Troppe morti innocenti nel nome delle Crociate. L’iniziale reticenza alla missione nasce proprio dall’impossibilità di perdonarsi per il troppo sangue versato, trasformata poi in occasione di redenzione nel far avere alla presunta strega un equo processo. Ecco l’eroe. Antenato dei soldati americani in Vietnam, in Afghanistan, Iraq, con annessi traumi postbellici. Lì dove ogni volta una sete di potere spacciata per giustizia, viene imposta sulla vita di inermi civili. Fin troppo simile al film “King Arthur” la scena in cui Anna la strega, tenuta sotto chiave in un carro, loda il Crociato Behman (vedi Ginevra/Keira Knightley con Artorius/Clive Owen). L’atmosfera è quasi draculesca. Lo scontro con lupi sovrumani dà come l’illusione che dal bosco maledetto possa spuntare Van Helsing/Hugh Jackman ad aiutare il gruppo. E se Nicolas Cage ci aveva abituato a pellicole dove interpretava ruoli diversificati (Arizona Junior, Stregata dalla Luna, Via da Las Vegas, Face Off, Il ladro di orchidee), negli ultimi anni si è sempre più adattato a versioni eroico-holliwoodiane, evidentemente più interessato a scegliere film da incasso sicuro che non pellicole all’altezza delle qualità che un tempo ci permetteva di cogliere. Qualche notevole effetto speciale tampona le falle di questo “L’ultimo dei Templari”. Il Diavolo è morto. E nella scontata scenografia di un mondo che ricomincia con il sole nascente, sembra che tutto volga al meglio. Il Diavolo è morto. Il mondo è stato mondato dal peccato. Ma noi che viviamo nel 21° secolo, sappiamo bene cosa accadde dopo le Crociate. E di male ne è stato fatto parecchio. Il sangue è stato versato senza tregua. E quale che sia, non è l’uccisione di una creatura/uomo/donna a cambiare le sorti dell’umanità.

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