“L’uomo che uccise Don Chisciotte” (The Man Who Killed Don Quixote, 2018) è il tredicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore del Minnesota, Terry Gilliam.
La battaglia (e oltre) tra il personaggio di M. de Cervantes e il testardo, ostinato e surreale produttore di se stesso, ha emesso il verdetto di una pellicola che ha una connotazione scritturale a dir poco troppo lunga da raccontare. E il regista non smentisce la sua fama in un’opera assolutamente variegatamente carnevalesca nei toni, nell’epopea, nei luoghi e, soprattutto, nelle riprese, usuali, inusuali, vitali e sghembe.
Nonostante le super lungaggini produttive, le attese, le sceneggiature cambiate e rimescolate, le pre-produzioni nel corso di troppi anni, il film del regista statunitense…ora naturalizzato inglese esce allo scoperto per farsi piacere e guardare.
Pellicola di respiro ampio, di costosa iniziativa, di variegate prospettive, di mondi incrociati e di tempi narrativi a più livelli. Oggi, ieri, il passato, il presente, il futuro, il deserto, il pieno, il set, le figure dormiente, le controfigure, il romanzo, i guasti, il popolo di fantasia e i visi post modernizzati. Il Don Chisciotte preme per arrivare senza saperlo: ‘sono un calzolaio, un povero vecchio, uno sconosciuto’. Ecco che l’eroe della tavola rotonda attorno al set del cinema contemporaneo si siede per cercare e cercare l’avventura di Cervantes contro i mulini a vento.
Un inizio, un solo minuto, comune e quasi atteso, Don Chisciotte e il fido Sancho Panza, poi cambia tutto, nel giro della ruota del mulino, del nemico inesistente si apre il volto di un set, uno stop, un ciak da reinventare, attori che attendono, un produttore inaspettato e un regista che non sa più che pesci prendere.
Tutto da reinventare e da rifare. Non va bene nulla, mentre le pale del mulino puntellano l’attore buffo e aerogeneratori eolici padroneggiano tutta la schiena collinare di un avamposto lontano per girare un film ancora da comprendere. Il vivo antico finto di un mulino e il para-moderno pulito di energia che si alleano, per finta, in un set ridondante del nulla e strapieno di cose ancora da fare. E’ il mondo ‘Grimm’ sparviero e sperduto abitato di ricordi e solo fantasmi.
Un film mescolante di fantasia allegorica, modernismo, chiacchiere, ritrovamenti, luoghi di set andati, ricordi, facce stralunate, fughe, aggrovigliamenti, sentori modernissimi e fatui luoghi, ora vivi e ora spenti, del romanzo dello spagnolo. Il cinema nel cinema, il dietro le quinte, la ricerca dei posti, il lontano andare di un’avventura da costruire, la ricerca delle facce giuste, la proiezione della pellicola dietro alla ripresa e davanti a Toby (Adam Driver) mentre M. de Cervantes e il suo eroe cavalcano per girare. Il set diventa, in sincronia pellicolare, ripresa difesa, ripresa di un ricordo e ripresa in sala per il set stesso e per lo spettatore. Un accavallarsi di tutto. Quasi un non senso come la filmografia del regista promette e mantiene. Chi sa se la sensazione di qualche lungaggine è voluta e qualche stop narrativo il tempo di troppe attese per girare il film hanno creato sensazioni strane allo stesso regista trasmesse nel film stesso. Appunto chi sa….
Arriva la lancia di Don Chisciotte (Jonathan Pryce) , arriva un vecchio (scatenato), arriva un calzolaio, arriva un artigiano: tutto alter-ego di un cineasta che non si è preso mai sul serio (o meglio fa vedere ciò che il serio non addice alle contraddizioni in ogni immagine) e, meglio ancora, ci prende in giro di voga e dietro una ripresa. E il suo vecchio in armi spadroneggia per rompere tutte le ‘uova del paniere’ in un volto che ha seguito la sua carriera dai tempi di ‘Brazil’, 1985 (appunto l’attore del Galles J. Pryce).
Cast che si rincorre e da fuoco alle proprie energie mentre Toby rovista tutti, segue le trame e, parimenti, si mette in mezzo tra i narrati e i narranti, tra lo schermo e i set ora reali e ora di fantasia (tutto mentre le polveri e piccoli paesi si svegliano dal funereo mondo di un sogno tra Della Mancia e paramoderni odierni). E da lì diventa lo ‘scudiero’ dell’eroe tra destini antichi e produzioni (cine) di oggi.
Paesi coinvolti nella pellicola ben cinque (Regno Unito, Spagna, Francia, Portogallo e Belgio) e set tra Canarie, Portogallo e Spagna.
Regia multicolore e variegata, ora ferma e ora smossa, lineare e asimmetrica.
Voto: 7,5/10 (voto che racchiude un plauso al sui-generis-registico)