“L’uomo che vide l’infinito” (The Man Who Knew Infinity, 2015) è un film di Matt Brown.
Un biopic ben ricostruito, impeccabile nei luoghi e di (gran) effetto recitativo: pur con delle sbavature della sceneggiatura e di qualche personaggio di contorno (che poi tale non è) il film avvince per la bravura del duo in prima fila (senza esagerare nel virtuosismo compiaciuto).
L’incontro scontro tra Ramanujan e Hardy (Dev Patel e Jeremy Irons) vale il biglietto per una prova attoriale dell’attore inglese che si ricorda: una bravura che va oltre la prova registica, la storia e ciò che il film tenta di prendere di quel periodo storico.
Siamo nel 1912 e in un’India coloniale vive il giovane matematico Ramanujan. In un’area poverissima e lontana dalle grandi città (si fa riferimento nel film a Calcutta e Bombay come confine di ‘grandezza’) c’è la regione di Tamil Nadu dove vive un giovane che ha voglia di pubblicare i suoi studi. Sposato e con una madre attenta alle tradizioni, cerca contatti con il paese che colonizza la sua Terra. E scrive presso Cambridge e il Trinity College; il professore G.H. Hardy è il suo riferimento e a lui spedisce le sue scoperte con fogli pieni di formule e di concetti matematici. Ha una risposta e il giovane parte per la nuova avventura lasciando sua madre e la tenera moglie Janaki. Tutto è una scoperta nel nuovo mondo: discorsi, contrapposizioni, litigi, conoscenze e amicizia. Il giovane ha carattere e riesce ad entrare nel ‘cuore’ di dimostrazioni di Hardy. “Sono ateo”, “Non è vero”, “Credo nella matematica”, “Lei crede di non piacere a Dio”. Tutto quello che il giovane matematico indiano scrive pare ‘inspirato’ da qualcosa che va oltre: “da dove vengono le sue formule”, “ Le scrivo e basta”. Il trascendente fa capolino in questa storia dove si incontrano razionalismi logici, religioni patriarcali, pacifisti, liberali, uomini di guerra e razzisti.
Lo ‘straccione’ indiano diventa schema aperto verso un sistema genialmente ferreo e apripista versa una cultura di apertura ai mondi lontani e diversi e a ciò che è imponderabile: il contatto con l’infinito. Ogni granello di sabbia indica qualcosa di imperscrutabile nell’occhio umano e nella capacità di conosce. Un’equazione è qualcosa vicino a Dio: forse tutto è già scritto e l’uomo ne coglie qualcosa nel suo pensare tra una formula e una partizione. L’infinito imponderabile sembra vicinissimo con qualche geniale scoperta.
G.H.Hardy (JeremY Irons) chiede consiglio Bertrand Russell (Jeremy Northan) su come comportarsi con il genio indiano: “lascialo libero”. “La matematica è anche suprema bellezza” diceva il Premio Nobel (quasi un paragone in modo ‘complementare’ al Dostoevskij de ‘L’idiota’ nella frase ‘la bellezza salverà il mondo’ come sintesi di un mo(n)do).
I numeri e la loro infinita essenza: è ciò che l’indiano non sa spiegare (e poco dimostrare) ma riesce a dire con grande semplicità (‘sono le persone umili che liberano il genio’).
Non tutto si può capire ma ciò che è davanti a Ramanujan non sa la provenienza. E’ così.
Fratello indiano diventa il matematico dentro il Trinity College: primo deriso e la sua avvenuta morte (a soli 32 anni colpito dalla tubercolosi) ne colma il grande spirito a tutti.
Numeri e combinazioni possibili, oltre l’impossibile umano arrivano le partizioni di un indiano che proviene da un mondo analfabeta.
India un paese lontano (migliaia di miglia) e un infinito che sembra così vicino.
Tutto per ottenere una pubblicazione e il suo entusiasmo non è pari all’indifferenza di molti illustri
Osteggiato e poi amato da tutti: certo è l’amico Hardy si scusa con lui e ne rende merito per averlo conosciuto. Uno scambio di grande generosità. E il Taxi RE1729 rappresenta un epilogo di numeri primi come calcolo cubico di numeri primi.
Moebius (1986), Will Hunting (1997) , π-Il teorema del delirio (1998), A Beatiful Mind (2001) , Enigma (2001), The imitation game (2014), La teoria del tutto (2014): sono una serie di pellicole dedicate alla genialità di numeri e dintorni. Quest’ultimo è un altro tassello per ricordarci ciò l’uomo ha imparato da altri. “Eulero è al tuo pari” dice Hardy al giovane. Ed era davanti a lui: la nomina a membro della Royal Society fu il suo regalo (come la sua amicizia).
Regia di Matt Brown che segue la causa della storia che ha una potenzialità non sfruttata in toto.
Voto: 7/10.