L'Uomo d'Acciaio: la recensione di Parker85
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L’Uomo d’Acciaio: la recensione di Parker85

L’Uomo d’Acciaio: la recensione di Parker85

Probabilmente c’è ancora poco da dire in merito a questa nuovissima rivisitazione di uno dei supereroi più iconici del fumetto americano; esattamente come accaduto due mesi or sono per il tanto atteso terzo capitolo dell’ eroe corazzato di casa Marvel, lo spettatore medio è arrivato alla proiezione del lungometraggio accompagnato da una tale saturazione di informazioni pre-visione, indiscrezioni, spoiler e quant’ altro che ne hanno, in qualche modo, influenzato la visione o almeno la percezione rispetto a quelle che erano le reali aspettative nei confronti del prodotto.
Ma se nel caso di Iron Man 3 si era riusciti a mantenere il giusto riserbo sui toni, sulle scelte più audaci e su tutti gli spunti geniali presenti nella pellicola, ritrovandosi giustamente spiazzati ed interdetti davanti ad alcuni passaggi, si può invece affermare che nel caso di questo reboot del supereroe Dc molto probabilmente le idee erano già abbastanza chiare sulla visione, lo spettatore sapeva quasi con certezza a cosa sarebbe andato incontro: una rivisitazione adulta e verosimile dell’ eroe, per quanto possibile più realistica ed ancorata ad un immaginario meno utopico ma concretamente più terreno, un film dai toni dark e finto – realistici, come da marchio di fabbrica garantito dalla ormai rodata accoppiata Nolan / Goyer, ma comunque un film denso di azione, come si evinceva dalle immagini dei trailers, e da un’ altro marchio di fabbrica, quelllo del regista Zack Snyder, che rassicurava tutti sul fatto che il suo Man of Steel sarebbe stato un film visivamente potente, un film ad alto tasso di intrattenimento con “effetti visivi mai visti prima”, un film che puntava tutto sull’ iconografia simbolica dell’ eroe perché, a detta di Snyder, la S di Superman è radicata nell’ immaginario collettivo quasi quanto la croce cristiana…
Vere o no, indipendentemente dalla conoscenza superficiale o approfondita dell’ utente rispetto alla mitologia dell’ eroe, queste provvidenziali affermazioni, unite ad una campagna marketing asfissiante, hanno inevitabilmente fatto presa sul crescente interesse del pubblico.
Ma è effettivamente tutto qui? L’ Uomo d’ Acciaio è solo questo? Il mio parere è che ci sia dell’ altro ancora, che si sia rimasti fermi in superficie senza andare ad addentrarsi in profondità in quella che è realmente la figura di Superman, in ciò che rappresenti nello specifico questo nuovo adattamento cinematografico e più in generale il personaggio vero e proprio.
Superman è innanzitutto un film di matrice cristiana, la sua origine è fortemente influenzata da un’ atto simbolico di cristianità per eccellenza: un padre che sacrifica se stesso per il bene del figlio, o meglio ancora un padre che dona il suo unico figlio all’ umanità.
La storia è sempre questa, per fortuna, perché fondamentalmente è uno dei messaggi più potenti che un mezzo di intrattenimento possa donare allo spettatore o lettore che sia: come da copione, quindi, noncurante del proprio destino, della propria vita, Jor-El di Kripton sacrifica se stesso per salvare il suo unico figlio, Kal-El, donandolo all’ umanità (in questo caso ad un’ altra umanità, quella Terrestre); da notare, sempre in tema di riferimenti cristiani, come il suffisso El, elemento distintivo del retaggio genealogico (equivalente al nostro cognome), altro non sia che la radice di un altro nome, Elia, in ebraico Elì, i cui significati sono traducibili come l’ altissimo, l’ onnipotente, in parole povere il nome terreno di Dio.
Superman è un eroe americano, un simbolo di american way, di onestà e di patriottismo, senza eccessive esagerazioni; tonalità del costume che rimandano alla bandiera a stelle e strisce, sovente rappresentato insieme all’ aquila americana, iconograficamente Superman è simbolo di libertà e sogno americano alla pari di Capitan America.
Superman è inolte un personaggio di puro idealismo, l’ incarnazione dell’ eroe gentile, immacolato, senza macchia, un essere che mette i suoi immensi poteri al servizio dell’ intera umanità senza chiedere nulla in cambio, mosso da un incondizionato amore verso ogni abitante della Terra, ma è anche un eroe umano, portatore di specifiche debolezze che lo rendono vulnerabile, seppur nemmeno queste ultime gli impediscano di cercare di fare sempre la cosa giusta.
L’ uomo d’ Acciaio è tutto questo? Sì e no…
Questo reboot dell’ eroe tratteggia solo alcuni degli elementi caratteristici delle storie dei comics o dei film precedenti e, giustamente, cerca allo stesso tempo di non prescinderne rischiando di rimanerne vincolato, reinterpretando stili, ambienti e contesti e diversificando toni e contenuti.
La massiccia operazione portata a termine in questo blockbuster da 225 milioni è ambiziosa, ampiamente giustificata, ma forse non del tutto riuscita, consegnandoci un film che si rivela profondamente differente da ciò che era lecito aspettarsi.
Il problema fondamentale del personaggio di Superman nasce più che altro da difficoltà di tipo editoriali che, conseguentemente, si riflettono a livello cinematografico causando difficoltà oggettiva nell’ adattarlo sul grande schermo; l’ eroe Dc è sempre stato un personaggio difficile da gestire, mai evolutosi del tutto nel corso degli anni editoriali rimanendo purtroppo ancorato ai vincoli ed agli stereotipi delle sue origini e degli anni d’ oro, pur aggiornati ai tempi recenti: eroe simbolico e fortemente idealizzato, vulnerabile alla magia, al piombo e soprattutto ai resti fossili del suo pianeta natale irradiati al contatto con l’ atmosfera terrestre, talvolta lontano dalle problematiche politico – sociali (almeno fino alle storie più attuali), meno eroe metropolitano e più eroe “cosmico” (come da tradizione della maggior parte dei supereroi Dc); l’ audience e la qualità delle storie a fumetti variava molto più a seconda della capacità di gestione dell’ autore che prendeva in mano le redini della serie che a seconda della bellezza grafica delle tavole del disegnatore da cui lo scrittore era coadiuvato; motivo per cui è sempre stato difficile (almeno nel mio caso) seguire con attenzione le uscite per più di un tot di tempo dato l’ andamento altalenante della qualità narrativa, che alternava dimenticabili cicli di storie che sapevano di forzatura o qualcosa di già visto a momenti di continuity decisamente più innovativi e brillanti; è un parere del tutto personale, magari non condivisibile, ma ho sempre ritenuto che alcune delle tanto osannate storie memorabili di Superman quali Kingdom Come, il ciclo di Alan Moore o le morti di Superman (prima e seconda) non siano state del tutto all’ altezza di rappresentare al meglio natura ed anima del personaggio rispetto invece ad altre serie più o meno recenti e decisamente più sottovalutate, quali la bella reinterpretazione nel ciclo Man of Steel di John Byrne, l’ intero arco narrativo Superman Rebirth, Birthright di Mark Waid (stesso scrittore di Kingdom Come) e Lenil Yu e la pregevole Per il Domani di Azarello e Jim Lee.
Nonostante tutto ritengo che L’ Uomo d’ Acciaio sia probabilmente il miglior adattamento cinematografico di Superman dopo il nostalgico primo lungometraggio di Richard Donner datato 1978 (da cui questo reboot prende in parte e giustamente le dovute distanze); nulla di trascendentale, a conti fatti un prodotto di discreta qualità, che però ha il merito di riuscire a grandi linee a reintrodurre il supereroe nel mercato cinematografico, dopo diversi anni di assenza ed in modo più o meno credibile, tentando di aggiornarlo al terzo millennio.
Partiamo con ordine: l’ incipit è probabilmente la sequenza più riuscita dell’ intero lungometraggio e, a dispetto dell’ impostazione fortemente fantascientifica, per certi versi anche la più credibile.
Il pianeta Kripton e la sua civiltà vengono ridisegnati (aggiungerei abilmente) e reinterpretati come un grande impero che, nel corso del tempo, è cresciuto e si è esteso fino ai confini dell’ universo conosciuto arrivando perfino a colonizzare interi pianeti fino a toccare l’ apice della sua magnificenza.
In questo (sacro romano) impero tutto era gestito attraverso una perfetta organizzazione che assicurava al pianeta nuove nascite (ovviamente artificiali) e ruoli prestabiliti all’ interno del contesto sociale, assegnati ad ogni individuo tramite una sorta di imprinting programmato.
Fondamentalmente la storia della caduta di Kripton è sempre la stessa e mantiene pertanto elementi comuni necessari all’ economia della vicenda: Jor-El avverte il consiglio sull’ imminente destabilizzazione del nucleo del pianeta, quindi invia il figlio Kal-El sul pianeta Terra ed infine il generale Zod ed i suoi sottoposti reazionari vengono condannati ed esiliati nella zona negativa.
L’ innovazione, in questo caso, è data da un totale rinnovamento di impostazione e confezione visiva: prima dell’ inevitabile fine su Kripton si scatena uno scenario di guerriglia, il pianeta è nel caos militare e Jor-El fa quel che deve per preservare la memoria genetica del pianeta e salvare il suo erede, arrivando anche a scontrarsi fisicamente (in una sequenza dinamica ed ottimamente coreografata) con il generale Zod, a capo della ribellione militare.
Chiusa questa lunga parentesi fantascientifica di ottima fattura, che ancora una volta sottolinea la bravura e l’ immensa presenza scenica di Russel Crowe (come se ce ne fosse bisogno), l’ impressione è che inizi un nuovo, differente, lungometraggio; ritroviamo Kal-El già adulto nei panni di Clark, in giro per il globo alla ricerca di se stesso e delle sue origini e, attraverso un utilizzo di flashback alternati alla narrazione del presente (più o meno la stessa impostazione della prima parte di Batman Begins), arriviamo a conoscere un po’ più dettagliatamente alcuni particolari momenti della sua vita, dall’ infanzia fino ad oggi.
Apprezzabile o no che sia, la sensazione che si avverte al termine di questo lungo segmento di pellicola è che la figura del protagonista non sia stata sviluppata nel modo più opportuno; la costruzione del personaggio non è lineare e graduale come dovrebbe, non si percepisce l’ evoluzione del ragazzo che diventa uomo e dell’ uomo che diventa eroe (come, per esempio, avviene nei film della Marvel).
Differente registro e differente contesto anche nella scelta della caratterizzazione dell’ eroe, a cui purtroppo viene negato uno degli aspetti fondamentali che rendono la figura di Superman unica nel panorama dei supereroi: Superman non è l’ alter ego di Clark Kent ma, al contrario, Clark Kent è la maschera che Kal-El indossa ogni giorno per nascondere la sua reale identità e far parte della quotidianità sociale; una scelta, tuttavia, giustificata da una motivazione perfettamente in linea con i nuovi criteri di reinterpretazione più realistica: Clark non è ancora Superman ed ha appena preso coscienza della sua origine e della sua vera identità, quella di Kal-El, figlio del pianeta Kripton; agli occhi del mondo lui è l’ alieno, è un’ essere dalle capacità immense che la gente ancora non sa se accettare, per i militari è una potenziale minaccia alla sicurezza ed all’ incolumità del globo, dovrà compiere le scelte giuste per guadagnarsi la fiducia della gente.
Contemporaneamente alle sequenze presente – passato vengono inseriti e presentati nella vicenda personaggi di rilievo come i coniugi Jonathan e Martha Kent, la reporter investigativa Lois Lane e (per chi ha più familiarità col mondo Dc) il professor Hamilton.
Superman è figlio di due padri ed in questo senso la figura del padre terrestre è fondamentale nella crescita dell’ uomo, prima ancora del raggiungimento della consapevolezza elargita dal padre kriptoniano, sostanzialmente la figura di Jonathan Kent in questo film è abbastanza centrata e svolge bene il suo compito (merito anche di un Kevin Costner credibile) seppur appaia un po’ forzata la scena della sua dipartita, come a voler indirizzare la storia sul binario prestabilito.
Diane Lane, splendida quarantottenne, interprete di lusso per Martha Kent, è probabilmente sprecata per quel ruolo ma comunque svolge anche lei il suo dovere, dando credibilità alla madre adottiva dell’ eroe.
Lois Lane merita un discorso leggermente più ampio: siamo abbastanza in linea con la figura conosciuta della reporter sprezzante del pericolo e perennemente alla ricerca dello scoop giornalistico, testarda, caparbia e disposta a mettere a rischio perfino la propria incolumità pur di consegnare un pezzo da premio Pulitzer al suo editore Perry White, disposta ad arrivare a compromessi poco ortodossi per raccontare la sua verità; in questo nuovo contesto il Pulitzer l’ ha già vinto, svolge il suo lavoro con dedizione fino al raggiungimento di una verità che stravolge completamente la normale realtà a cui siamo abituati; appresa questa verità, la presenza di Lois sulla scena diventa morbosa: ci si rende conto che in alcune sequenze la reporter è fuori contesto, si trova nel posto sbagliato, eppure la sceneggiatura insiste nel metterla al centro di sequenze d’ azione particolarmente nevralgiche.
Ed ecco dove il film, a mio avviso, pecca di ripetuti eccessi.
Per dare una definizione utilizzando uno slang linguistico più appropriato direi che ad un certo punto il film svacca.
La componente fantascientifica, già presente nel film fin dalle battute iniziali, diventa elemento preponderante dal momento in cui Zod e seguaci si dirigono verso il pianeta Terra; a questo punto il lungometraggio precipita prepotentemente nello sci-fi spiccio: i kriptoniali esiliati fanno il loro trionfale ritorno con tanto di navi da esplorazione, navette da combattimento, macchinari per la terra formazione e dispositivi dotati di tecnologia in grado di curvare lo spazio.
Da qui in avanti tutto diventa esagerazione; spesso e volentieri nei film di questo tipo esagerare non è un male, anzi, è qualcosa di sacrosanto, giocare con gli effetti speciali realizzando sequenze di distruzione, purché ben realizzate, non può che lasciare un ricordo migliore della pellicola allo spettatore (in fondo una bella esplosione è sempre piacevole sul grande schermo); il problema è che bisogna saper esagerare pur rimanendo entro certi limiti perché, come tutte le cose, alla fine il troppo stroppia.
La concentrazione delle lunghissime sequenze d’ azione è tale da far cadere tutto il resto in secondo piano ed inevitabilmente il film diventa baraccone.
Quel che stupisce in negativo è la massiccia confusione delle sequenze, movimenti di camera inspiegabilmente erratici e scontri fisici caotici lasciano non poche perplessità, la qualità generale della messinscena visiva risulta, a tratti, poco credibile e priva di quel realismo che, per esempio, contraddistingueva invece un film visivamente imponente e tecnicamente quasi perfetto come The Avengers; a differenza del crossover Marvel in questo film gli effetti visivi di alcuni piani sequenza, come gli scontri in volo, appaiono posticci e rimaneggiati, come se fossero stati riciclati da altre pellicole e riutilizzati.
D’ accordo inoltre che stiamo parlando di superumani, ma ogni piccolo movimento diventa una scusa per distruggere o fare danni scenografici, non è chiaro il motivo per cui i kriptoniani, che tra l’ altro zompano qua e la in stile Hulk, applichino tale massa o abbiano tale potenza fisica da danneggiare il terreno sotto i loro piedi ad ogni movimento, o ancora per quale motivo si muovano a scatti più in stile vampiro di Twilight che in stile “più veloce di un proiettile”, perdendo così ulteriormente credibilità e quel tocco di realismo che di certo non avrebbe guastato.
Altra nota dolente è il progressivo disperdersi del finto – realismo tanto faticosamente messo in piedi durante tutto il film che, proprio per colpa di sequenze action più furibonde che ponderate, si ritrova a crollare esattamente come i grattacieli di Metropolis durante il processo di terra formazione: per la prima volta nella storia l’ eroe non è vulnerabile alla kriptonite ma è soggetto ad indebolirsi, o meglio tornare “normale”, all’ interno dell’ atmosfera artificiale del suo pianeta natale o in prossimità di fonti tecnologiche kriptoniane (di fatto è quasi la stessa cosa); nonostante questo ascendente negativo sembra che nulla impedisca all’ eroe di distruggere il macchinario terra formante in pieno ciclo operativo, senza alcun aiuto da fonti esterne. La perplessità è d’ obbligo.
Concludendo questa eccessivamente lunga (motivo per cui mi scuso) ma comunque doverosa disamina, L’ Uomo d’ Acciaio non è un film da giudizio secco, non è un fallimento su tutta la linea così come non è il più bel cinecomic (se proprio così vogliamo definirlo) mai realizzato; è qualcosa di sperimentale, a tratti riuscito e a tratti no, è un film che cambia aspetto ed impostazione più volte nel corso della sua (lunga) durata; è un prodotto che comincia bene, molto bene, e prosegue per la direzione giusta finché non tradisce la sua natura cedendo senza troppo sforzo all’ azione facile, esagerando.
L’ Uomo d’ Acciaio rimane sempre e comunque un film di Superman, un buon film che parla di scelte, di umanità, di eroismo.
E di come la diversità non sia necessariamente un male, purchè proviamo a fare lo sforzo di accettarla anzichè di alienarla.

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