“L’uomo di neve” (The Snowman , 2017) è il quinto lungometraggio del regista svedese Tomas Alfredson.
In una Oslo che conosce bene il bianco candore di una neve quasi perenne si mescola il sangue di un assassino che uccide solo quando cade la pioggia infreddolita tra una notte vuota e un paesaggio pieno di buio. Ecco che la città e la sua provincia più o meno lontana si tinge di una riga rossa o forse di un tagliente filo di rasoio mentre attorno assiste muto il pupazzo con due piccoli ‘ceppetti’ conficcati. È l’uomo di neve che, spento e freddo, osserva il suo gioco mortale.
Film strano nell’impostazione e nel seguire il corso delle uccisioni dove la neve e il suo candore fanno da contraltare ad alcol e sangue. Harry Hole (Michael Fassbender) è il detective che si occupa di investigare: personaggio sui generis, sbattuto, irrispettoso, ama il whisky, poco incline alla mediazione e con una famiglia divisa. Dimentica gli appuntamenti e anche la partita del figlio. Un poliziotto che vale poco. E’ lui che va sempre dietro a tutto e che riesce a seguire il gioco ‘macabro’ con un biglietto di avviso.
Un film altalenante e non propriamente teso negli schemi e nei dubbi narrativo per un thriller. Si inizia bene ( tra l’altro con volti non ravvicinati e poi di grida represse per un figlio che vede la morte di fronte), si percorre a zig zag il segnale dell’omicidio e poi il finale un po’ decantato è quasi ovvio. Viene in mente un salvataggio della famiglia o di quello che resta in ‘Target’ (1985) di Arthur Penn con il duo Gene Hackman-Matt Dillon.
Uniforme e senza spasmi, una pellicola di genere medio dove il colpevole (o la…si potrebbe dire) è già in allarme nel nostro pensare già a metà storia. Immagini di troppo qualche dettaglio superfluo e il gioco è fatto.
Omaggiare il grande giallo o thriller in alcuni frangenti non è semplice se la sceneggiatura ‘scivola’ su alcune incongruenze narrative, tipo assecondare il prima e il dopo come se fossero invertiti o addirittura su due piani uniformi in ambienti diversi.
Mostrare la mano. Perché mai? Chi sa …come vengono in mente certi frangenti facendo assecondare lo spettatore ad un percorso semplice e addomesticabile. Alcuni grandi (registi) si sono mostrati inavvertitamente senza dare segnali e nascondendo tutto. Il regista aveva assecondato tale regola (in modo efficace e preciso) ne “La talpa”. (dal romanzo di John le Carré) dove il complicato e la sua linearità, il nascondimento e i volti davano il gusto di altro che immagini ma non vedi mai. Il cinema è anche questo. Mostrare il giusto e anche molto meno.
Odore di neve e puzza di morte. Il film riempie solo con lo sguardo del pupazzo di neve che incute timore oltre quello che si vede. Vale (quasi) il biglietto alcune inquadrature fermo-immagini con le bacchette di legno e con gli del ‘mostro’ ghiacciato che si nasconde dietro. E il dietro è già un film con l’assassino nei pressi ma invisibile. Quando il film entra in qualche immagine di troppo diventa banale nonostante lo scorrere che vuole tenerci in tensione.
Dietrofront per il cineasta svedese. E nonostante siamo in terra amica la pellicola non si dipana con vera suspense e soprattutto con angoscia. E il dietrofront del regista (di altro rango) Martin Scorsese ha già il sapore di una (mezza) sconfitta per il film prima dell’uscita nelle sale. Poco clamore, pochi consensi, poco sapore di attesa nonostante la presenza dell’attore Michael Fassbender e il libro dello scrittore nordico.
Ironia fredda e mascherata sotto il cruccio di un pupazzo che si materializza in ogni punto dove la vittima sacrificale aspetto il suo aguzzino.
Notte e giorno, buio e luce ma soprattutto ombre in un film che non trasuda ansia di risposta finale. Sembra già tutto detto (e scritto): comodità, convenzioni e stili che conosciamo. Non si ha main vero cambio di ritmo e di suspense che hai voglia di rivederlo. La famiglia disunita, il padre dormiente, la madre isterica, il figlio quasi incompreso e un amante-marito intelligente e angustiato. Un circolo vizioso da cui il resto attorno sembra inutile. E ogni viaggio ( treno ad esempio…) può essere fattibile e utile per una giusta medicina è un omicida che si tratteggia da solo. Sogni di un cadavere di mezzo inverno.
Esempio di cinema su ‘commissione’ (o quasi) …sembra di vedere qualcosa di incerto tra scrittura, recitazione e ambienti. I panorami appaiono piccoli tappabuchi per il montaggio di fronte ad una sceneggiatura forse troppo ritoccata o addirittura da rimescolare con dovizia di ingegno rispetto al testo dell’autore. Comunque si apprezza l’impegno ma un po’ di delusione sovviene vedendo che i personaggi non si integrino perfettamente, qualche guizzo non dà la sensazione di un film riuscito. Un film imperfetto….si sarebbe detto in alcuni casi.
Vestito da un freddo innevato…la pellicola appare aspra e nessuna autoironia. Si pretende forse troppo…
E per chiare idee…il nastro che cuce la bocca e il taglia gola abdicano per un finalino di comodo ….e anche superfluo….
Michael Fassbender (Harry Hole) nello sguardo, nella postura e nei modi vale il biglietto.Ambienti e sagome umane sorvolano la misura del personaggio.
La regia di T. Alfredson, purtroppo, non segue il genere nel costrutto e quello che ne ‘La talpa’ era parso un gran salto nel dubbio qui la rivelazione si manifesta in un chiarore…di notte nordica.
Voto: 6/10