Nel 2014 la Universal aveva lanciato un progetto chiamato Dark Universe, ovvero una serie di film che avrebbero fatto parte di un universo cinematografico condiviso e sarebbero stati incentrati su Dracula, Frankenstein, la Mummia e via elencando, come da tradizione dello Studio ma sul modello MCU (Marvel Cinematic Universe). L’insuccesso dei primi due film della serie, Dracula Untold e La Mummia con protagonista Tom Cruise (e Russell Crowe nei panni del Dr.Jekyll), ne ha frenato lo sviluppo e adesso pare che i progetti dedicati ai singoli personaggi siano destinati ad andare avanti in modo indipendente.
D’altra parte per rinfrescare storie che non solo risalgono all’Ottocento ma che sono diventate epicentri della produzione artistica postmoderna, serve un’idea forte e probabilmente anche uno sguardo autoriale, che vada oltre il ricalco delle dinamiche di un gruppo di supereroi in costume e l’utilizzo di effetti speciali up to date per rendere più credibili le trasformazioni.
Nel caso dell’Uomo Invisibile ci sono voluti un grande produttore (Jason Blum) e un regista e sceneggiatore proveniente dall’horror (Leigh Whannell), per mettere in piedi un’operazione che si libera dalle incombenze del fantasy e della continuity, e si preoccupa invece di mostrare una chiara identità di genere e un preciso approccio al tema. L’uomo invisibile diventa così metafora dello stalking e lo stalking tema adatto a una sottocategoria precisa dell’horror, che è quello della case infestate, ovvero la America Horror Story per eccellenza.
Per fare questa cosa qui Whannell è perfetto, ha scritto tutta la saga di Insidious (il primo è del 2010) e diretto il terzo capitolo, cioè ha rilanciato il genere prima che tornasse definitivamente mainstream grazie a The Conjuring (2013), peraltro diretto dal suo sodale James Wan.
Lo si capisce subito dall’incipit, pazzesco, in cui la protagonista Elena (Elisabeth Moss) deve fuggire dalla casa del marito: Whannell qui fa ampio uso del piano sequenza e di panoramiche interne, avanti e indietro tra un salone e l’altro, con l’orizzonte notturno dietro le vetrate, esplorando gli spazi vuoti di questa incredibile villa a picco sul mare. Ma l’esplorazione domestica e la minaccia implicata dagli spazi vuoti acquistano ovviamente ulteriore senso drammatico e capacità di suspense quando l’”uomo invisibile” (ovvero il fantasma, proprio da un punto di vista etimologico) entra in azione, trasformando il film per una buona mezz’ora in una versione non-mockumentary di Paranormal Activity (si veda in particolare la scena della padella che va a fuoco, che dal punto di vista registico sembra presa di peso da uno dei film di quella saga).
Nella seconda parte il film affronta direttamente il punto cruciale dello stalking, Elena è perseguitata dal marito e non viene creduta, ed è successivamente isolata, accusata, reclusa. Anche qui Whannell si dimostra preparato, e riesce a trasformare la questione sociale in dispositivo di genere, infilando una serie di scene politicamente significative ma al contempo genuinamente spaventose, come quella con la sorella al ristorante.
Dove invece il film funziona meno è nello sviluppo sci-fi, con la questione del “costume invisibile” che ricade pericolosamente in quel territorio fantasy-supereroistico che riporterebbe tutta l’operazione fuori dalla sua zona di confort e di efficacia. E lo stesso epilogo crime non brilla certo per originalità, basandosi su una trovata specifica, quella del microfono nascosto, che non fa onore all’intelligenza del resto dello script.
In conclusione L’uomo invisibile è un ottimo film horror, moderno e intelligente, con una grande regia e buoni piani di lettura, che perde qualche colpo quando si consente certe escursioni al di fuori del suo genere d’elezione.
L’uscita in sala, monca a causa del Coronavirus – tanto che il film è uscito direttamente in streaming in molti paesi, compreso il nostro – poteva diventare un grave problema; e invece l’operazione, costata appena sette milioni di dollari (marketing escluso), ha fatto in tempo a incassarne 124 milioni sul mercato globale, diventando l’ultimo grande successo produttivo primo dello shutdown.