Macbeth: la recensione di Leonardo23
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Macbeth: la recensione di Leonardo23

Macbeth: la recensione di Leonardo23

Siano esse il collassante peso delle ambizioni o la presenza di didascalici e scolastici risultati, non sono scarseggiate, fin dalla sua corsa alla (mancata) Palma D’Oro, le critiche a Macbeth, in maggioranza tutte tese ad appiccicare sul fresco e australiano nome di Justin Kurzel gli scomodi ed esagerati epiteti di scolaretto diligente o operatore commerciale. In realtà sembra che con questa sua opera si vada ben oltre il dilettantismo d’autore imputato. È un Macbeth crogiolante e plumbeo, rabbioso e argilloso. Pro: raro impianto di magnificenza impressionistica, desinenze epiche e ossatura drammaturgica si è visto modellato tra fango duro e freddi marmi, per una solida e spessa tragedia, imporporata e aggrottata, con trasporto audio-visivo di versi leggendari. È infatti trasposizione d’accuratezza maniacale e distillata, in pompa magna, dalle architetture barocche che slanciano le tensioni drammaturgiche, statiche dinamiche regali o prorompenti scenografie guerriere, contro l’attrito di una mole emotiva radicale, alla robustezza e rocciosità di trama. Il film racconta la rovinosa metamorfosi del valoroso generale Macbeth, signore di Glamis, che conosce la gloria e l’onore, ma viene condotto alla rovina dalla sua cupidigia, durante la guerra civile scozzese. Contro: è difetto di questo cinema museale in teca di vetro, intellettualistico e ampolloso causare i maggiori affanni e smorfie per l’assente carta dell’empaticità, sostituita da dogmi letterari di prim’ordine, che sfibra, distacca e decostruisce i palpiti di cuore. Summa: corposo e sanguinolento (in effetti piuttosto liquido), Macbeth di Kurzel vanta la fame per mirabilie estetiche, ebbre di furore cromatico e impegno d’interpreti (Fassbender squadrato e affilata Cotilliard), garantite riflessioni su potere, sul nero dell’anima, con occhio impersonale, quasi saccente nell’eccesso, che subordina e forse sotterra gli intenti più (con)geniali

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