Macbeth: la recensione di Mauro Lanari
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Macbeth: la recensione di Mauro Lanari

Macbeth: la recensione di Mauro Lanari

1) S’Harold Bloom considera “Macbeth” la più grande delle tragedie shakespeariane, in “Criminal Activities” (2015) dell’epigono tarantiniano Jackie Earle Haley, il personaggio di John Travolta spiega il motivo della propri’adorata preferenza per questo dramma (https://amp.twimg.com/v/2267769e-3c9f-49bd-9791-38b4d4ad555d): “È il re della Scozia. Tre streghe nel bosco gli dicono che non potrà essere ucciso da un uomo partorito da una donna. Ovviamente lui ci crede, perché non dovrebbe? Così, quando il suo rivale lo sfida in un duello all’ultimo sangue, lui accetta e con un sol colpo finisce decapitato. Poi si scopre che il tizio che l’ha ucciso in realtà era stato tolto dal ventre della madre con un taglio cesareo. Non era stato un parto naturale; quindi, tecnicamente, non era stato partorito da una donna… Spesso le cose non sono come sembrano.” La sottigliezza logica che funge da trappola mortale nell’interpretazione dell’ambigu’e subdole profezie ricevute da Macbeth non so s’abbi’avuto senso nel ‘600 ma di sicuro non ce l’ha oggi a 4 secoli di distanza. Davvero all’epoca si distingueva fra parto naturale e parto cesareo fin’a considerare quest’ultimo un non-parto? Davvero era comprensibile al pubblico d’allora una significativa discrepanza fra “Be bloody, bold, and resolute; laugh to scorn / The power of man, for none of woman born / Shall harm Macbeth” (Atto IV, Scena 1, vv. 79-81), per la precisione pronunciato non dalle streghe ma da un bambino insanguinato, “I bear a charmed life, which must not yield, / To one of woman born” (Atto V, Scena 8, vv. 12–13) e “Despair thy charm / And let the angel whom thou still hast served / Tell thee, Macduff was from his mother’s womb / Untimely ripp’d” (Atto V, Scena 8, vv. 14–16)? Non so rispondere per i coevi di Shakespeare, ma per noi del XXI secolo questa non è una lingua aulica, enfatica e ampollosa per esprimer’un concetto fumoso; peggio: è una lingua morta usata per un sofisma senza (più) valore. A differenza del sillogismo che sorregge l’impalcatura dello Shylock con la sua libbra di carne, l’inghippo nel ragionamento alla base di “Macbeth” non ha retto la prova del tempo. Il doppiaggio italiano della trasposizione cinematografica di Justin Kurzel non modifica il problema, che reputo irrisolvibile: “Sii sanguinario, audace, e risoluto. Irridi al potere dell’uomo. Nessuno nato da donna potrà far danno a Macbeth”; “Io ho una vita stregata, che mai soccomberà a uno nato da donna”; “Dispera della stregoneria, e il tuo padrone, il demonio, ti dica che Macduff fu strappato prima del tempo dal ventre di sua madre”. Competenz’esclusiva della paleoginecologia? Com’esito si ha purtroppo un offuscamento della principale diversità poetica fra il Vate fiorentino e il Bardo dell’Avon, tanto teologicament’incentrata quella del primo quanto metafisicamente atea quella del secondo. La drammaturgia shakespeariana risale ai temi greci dell’epica d’Omero e delle tragedie d’Eschilo, Sofocle, Euripide, cioè al nostro rapporto col fato, il destino, la predestinazione, e le 3 streghe o Norne sono le Moire a cui sottostavano pure l’esistenze degli dèi dell’Olimpo. Il Kubrick di “2001” er’ancor’interessato a tale “vexata quaestio” sin’al punto di trasferire la propria passione per gli scacchi, e l’annesso problema dello scarto fra ontologia già stabilita di tutte le possibili moss’e gnoseologia della loro lacunosa conoscenza, nella conclusiva stanza rococò, ch’infatti è una perfetta scacchiera 8×8 (anche se poi si trasforma in una 10×10: allusione al Decalogo, al codice binario, a cosa? Cf. http://oi64.tinypic.com/33auvte.jpg, http://oi66.tinypic.com/33dgo4n.jpg, http://oi66.tinypic.com/258s85l.jpg, http://oi64.tinypic.com/2jbp2rd.jpg).
2) Tornando a Bloom, è uno degl’esegeti che giudica il “Macbeth” l’opera di Shakespeare col maggior numero d’inserti lirici indimenticabili per la loro bellezza. Anche qui c’è da obiettare che parametri e criteri linguistici per la valutazione d’una poesia si sono modificati e aggiornati nel corso dei secoli, con svolte che dovrebbero esser’esteticament’irreversibili. Versi non liberi, norme metriche, rime, assonanze, l’armamentario che la distingue dalla miglior prosa, la c.d. “prosa poetica”, andrebbe considerat’estinto. Insomma, per dirla con Biggio e Mandelli, è probabile ch’in futuro si studierà più Vasco che Dante, il quale, com’appunto Shakespeare, ha scritto in una lingua ormai fuori uso ch’ai fruitori odierni suon’a dir poco retorica. Idem per l’immagini degl’adattamenti filmici. Questo “Macbeth” di Kurzel oscilla iconicamente da “Braveheart” (1995) a “Valhalla Rising” (2009), però ricord’ancor più i difetti del finale d'”Apocalypse Now” (1979), prolisso e farcito di declamazioni stentoree e inconcludenti. “L’orrore… l’orrore” sussurrato dal colonnello Kurtz morente lo si sarebbe potuto rendere con una sintesi e dunque un’efficacia superiori magari con la sola scena della mattanza del bovino (https://www.youtube.com/results?search_query=Apocalypse+Now+ox+scene), o ancor meglio con le riprese originali sui titoli di coda, le vampate rosso sangue dei bombardamenti che si stagliano nell’oscurità notturna (https://www.youtube.com/results?search_query=Apocalypse+Now+end+credits), meraviglioso esempio di “cinema puro” che si contende la palma con la terza parte di “2001”, “Giove e oltre l’infinito” (https://www.youtube.com/results?search_query=2001+Jupiter+and+beyond+the+infinite).
3) La selva dei personaggi shakespeariani è in prevalenza composta da nobili, cortigiani, reggenti, e anche in tal caso ciò rend’ardua l’identificazione per il pubblic’attuale. L’approccio inaugurato dalla storiografia illuminista, che ha precorso la tendenza negl’anni 30 degl”Annales” francesi e della loro “Nouvelle Histoire”, è stato d’avvio a uno studio della storia non più confinato ai ceti dominanti m’aperto all’intera popolazione, una “storia universale” che costituisce uno spartiacque profond’e irrevocabile. Indietro non si torna.
4) Qualche volta alcuni grandi registi sono riusciti a colmare il gap cronologico fra noi e Shakespeare. Il primo che mi vien’in mente è il Welles d'”Otello” (1952), in modo particolare l’ultimo monologo (https://www.youtube.com/watch?v=CPkBmoMfp1I). Ma son’eccezioni, non la regola.

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