Machete Kills: la recensione di Gabriele Ferrari
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Machete Kills: la recensione di Gabriele Ferrari

Machete Kills: la recensione di Gabriele Ferrari

Difficile pensare di godersi Machete Kills in un contesto diverso dal classico “divano/amici/birra”: per farsi trascinare dalla pellicola di Robert Rodriguez serve entusiasmo, applausi a comando, sospensione dell’incredulità e qualcuno che vi tenga compagnia durante i (numerosi) tempi morti.

Non che non scatti sponteaneo qualche giusto applauso alle sequenze agli omicidi più creativi di perpetrati dal Machete di Danny Trejo, né passa inosservato lo spettacolare ruolo da Presidente di Charlie Sheen – perdonate, Carlos Estevez –, e più in generale sarebbe disonesto dire che non si ride, con Machete Kills. Il problema è che si ride troppo, e soprattutto che si ride e basta; non la reazione che un film di mexploitation ultraviolenta dovrebbe suscitare, e qui sta il cruccio del fan incontentabile: la nuova fatica di Rodriguez è più vicina per approccio a Una pallottola spuntata o Hot Shots! piuttosto che a C’era una volta in Messico. Il sodale di Tarantino sa di avere per le mani una macchina da soldi, un generatore automatico di one-liner e scene di culto da infarcire di facce da cinema – fate prima ad andare a leggervi il cast da voi, sappiate solo che tra un Mel Gibson e un Cuba Gooding Jr. spunta persino, a caso, Vanessa Hudgens – e intorno al quale costruire uno scheletro di trama che dia a Trejo la possibilità di ammazzare gente, conquistare gnocche spaziali (lo dice il film, non noi) e ringhiare in favore di camera.

Questa volta c’è di mezzo una testata nucleare puntata su Washington, e un mercenario (Demian Bichir) che ne controlla l’innesco. Machete viene ingaggiato dal Presidente per fermarlo, spedito dal suo contatto a San Antonio (Amber Heard, sconsigliata ai deboli di cuore) e mandato alla ventura oltre il confine messicano in cerca di risposte e teste da mozzare. Quel che succede da lì in avanti è da vedere per crederci; vi basti sapere che, tra tempi morti, citazionismo e spiegoni didascalici a uso dei più distratti, si passa dai tunnel che collegano Messico e Usa a un laboratorio segreto ipertecnologico, per finire, come già ci avevano promesso Machete e i suoi finti trailer, direttamente nello spazio. Il problema (o forse no, dipende da voi) di questo delirio è che è molto più anarchico e disorganizzato persino del primo capitolo, ed è evidente che l’attenzione di Rodriguez è puntata più sulle gag e le citazioni (a sorpresa il film più saccheggiato è Star Wars) che sul raccontare una storia – o sul fare un film, se preferite.

Insomma, oggi come oggi Machete è un franchise così: costruito intorno a un personaggio carismatico, senza alcun interesse per le normali regole della narrativa d’azione, virato nettamente sul versante parodistico. Qualcuno apprezzerà lo stesso e riderà a crepapelle a ogni «Machete non twitta/nessuno conosce Machete/Machete capita», altri rimpiangeranno i tempi in cui Rodriguez sapeva non tanto prendersi sul serio, quanto prendere sul serio i propri personaggi. Scegliete voi con quale squadra schierarvi.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace
Si ride, è innegabile, soprattutto nel delirante finale. E per chi apprezza il genere (femminile), c’è da gioire per tutto il film.

Non mi piace
Una cosa è scrivere una storia esile come nel caso del primo film, tutt’altra faccenda quando la storia non esiste e si trasforma una pellicola in una raccolta di gag. Il film, inoltre, è crivellato di tempi morti.

Consigliato a chi
Ha amato il primo e ne vuole vedere una versione più esagerata, più ridicola e tutto sommato meno efficace.

Voto: 2/5

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