Maleficent: la recensione di Alessia Carmicino
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Maleficent: la recensione di Alessia Carmicino

Maleficent: la recensione di Alessia Carmicino

“Oh dear. What an awkward situation.”

Fortemente voluto da Walt Disney in persona a ragione di un ingente investimento di tempo e denaro e di un primato nell’animazione all’epoca ineguagliabile, alla sua uscita in sala nel 1959 La Bella Addormentata nel Bosco si rivelò un tale disastro da far cancellare la parole Fiaba dagli annali degli Studios fino ai primi anni 90′, quando una Sirenetta adolescente di nome Ariel riavviò una tradizione che fra alti e bassi ha proseguito la sua corsa fino ad oggi; all’epoca nessuno poteva saperlo, ma i ricordi dell’immane perdita economica, dei licenziamenti e dei severi giudizi della critica sarebbero presto svaniti, consentendo al film di essere riconosciuto come un capolavoro del cinema d’animazione e di entrare a far parte, a dispetto dei suoi trascorsi burrascosi, dell’immaginario che ha colorato la nostra infanzia.

Cresciuti nella nuova era del digitale e abituati a un modo diverso di concepire fabula e intreccio nei lungometraggi d’animazione, i bambini di oggi avranno probabilmente accolto Maleficent con grande entusiasmo e senza colpo ferire, ma per chi ama il cartone originale è davvero difficile guardare al concept del film di Robert Stromberg e non sentirsi in qualche modo amareggiati, o peggio ancora, traditi; tutti ci siamo lasciati conquistare da Frozen e non c’è da stupirsi che nel suo piano per il restyling dei topoi fiabeschi la Disney abbia deciso d scommettere sul “girl power” e su un bisogno di indipendenza che non ha più bisogno di principi di passaggio e rapidi sposalizi per poter essere appagato, ma dal momento che ad essere destrutturata è stata non la fiaba originale di Perrault ma lo stesso film del ’59, la sensazione che si avverte è che l’ansia di cavalcare l’onda progressista dei tempi (benvenuta e benedetta, sia chiaro) sia stata tale da spingere la Casa di Topolino persino a rinnegare sé stessa, attirando i nostalgici della prima Sleeping Beauty solo per metterli di fronte alla totale demolizione di uno dei suoi villain più riusciti e carismatici.

L’idea di raccontare gli eventi dal punto di vista di Malefica sembrava interessante e nessuno si aspettava che in un progetto della Disney il personaggio avrebbe mantenuto interamente la sua oscurità, ma assolvere la strega da ogni innata perfidia e renderla una vittima ben al di là del “piccolo” inconveniente di non essere stata invitata al battesimo della piccola Aurora è una nota stonata di immani proporzioni: Malefica è tale solo in virtù di un nome pesante e inappropriato, è una fata maestosa ma generosa e ben disposta verso tutte le creature della foresta fino a quando non si innamora di un ragazzo arrivista( un poco baffuto e poco simpatico re Stefano) che tradisce la sua fiducia costringendola nella condizione, non meno antifemminista di quella proposta dall’epilogo matrimoniale voluto dalla tradizione, di essere spinta alla vendetta dalla delusione del suo cuore spezzato; a guarire la ferita sarà un amore diverso, materno e per questo resistente e duraturo, verso la giovane che aveva deciso di odiare e che invece si rivelerà una dolce creatura pronta a prendere da sola le sue decisioni, in perfetta sintonia con i ritmi di Brave e Frozen ma del tutto in dissonanza con ciò che avevamo sempre imparato a conoscere.

Il vero problema di Maleficent non è però curiosamente la mutazione del canone quanto la mancanza di appetibilità della nuova e più moderna versione proposta da Stromberg: Angelina Jolie sembra nata per il ruolo ed Elle Fanning è un’Aurora graziosa e anagraficamente appropriata (una sedicenne chiamata a interpretare una sedicenne è un autentico miracolo), ma in Maleficent non è presente nessuno degli straordinari guizzi che facevano volare alto La Bella Addormentata nel Bosco: non basta un po’ di buona ma non eccezionale CGI per cancellare dalla memoria la terrorizzante sequenza del cammino di Aurora verso l’arcolaio nella Torre, né le divertentissime scene che vedevano le fate madrine, qui ridotte a un trio di insulse babysitter, litigare deliziosamente nel tentativo di organizzare la festa di compleanno della loro figlioccia; non aiuta la presenza di un Re Stefano costretto a prendere sulle spalle il ruolo del cattivo senza sfumature solo perché lasciato improvvisamente vacante dalla nostra protagonista.

I tempi saranno pure cambiati e non esistono opere del tutto intoccabili, ma Maleficent si rivelerà un buon film, non frizzante ma carino quanto basta per una piacevole serata di relax adatta a tutta la famiglia, solo per chi riuscirà a isolare per 97 minuti l’ombra del suo ingombrante antenato: per tutti gli altri sarà solo l’occasione perfetta per rivendicare il diritto delle donne di essere cattive e indisponenti, senza dare la colpa allo sgarro del Principe Azzurro Sbagliato.

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