C’era una volta la professoressa del liceo che, più o meno a metà anno, dopo Dante e Petrarca, iniziava a spiegare Boccaccio e il Decameron. La peste, Firenze, dieci giovani che si allontanano dalla città per resistere, nella campagna toscana, ai miasmi del contagio, la cornice, le dieci storie al giorno per dieci giorni, Ser Cepperello, Federigo e il suo falcone, Tancredi e Ghismunda, Nastagio degli Onesti, Lisabetta da Messina e così dicendo.
Memorie scolastiche che, negli anni, sono sbiadite insieme al ricordo dei compagni di scuola, delle interrogazioni e dell’analisi del testo, ma che sembrano fare ritorno sul grande schermo nelle immagini di Maraviglioso Boccaccio dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani.
Un film che, da subito, si presenta come il riflesso di quella didattica da scuola superiore che il tempo ci ha fatto dimenticare. In ogni sua forma: nella recitazione, nella composizione del quadro, nel linguaggio, nella sceneggiatura e, infine, anche nella scelta della materia trattata.
Maraviglioso Boccaccio ha due livelli narrativi, fedeli al testo da cui prende le mosse: c’è una cornice, quella appunto della Firenze piagata dalla peste nera; un quadro, che descrive dieci ragazzi fuggiti in una villa di campagna che trascorrono il tempo raccontandosi storie; e ci sono le novelle, cinque nel film dei Taviani, tableaux vivants che aprono finestre su altri mondi, mondi adulti dove si scontrano le forze arcaiche della passione, del tradimento, del sacrificio, dell’onore e quelle, quasi magiche, della metamorfosi, di cadaveri che tornano in vita, di corpi che cambiano forma. Nel film dei Taviani questi due piani sono affidati, in una contrapposizione anagrafica, da una parte al giovanissimo cast di “novellatori”, attori under 30 che fanno sentire in scena il peso di un’esibizione scolastica, ancora acerba, enfatica e teatrale; dall’altra ai volti più noti del cinema italiano, quelli, tra gli altri, di Vittoria Puccini, Michele Riondino, Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca, che fanno pendere sui ruoli interpretati la loro estrema riconoscibilità, fattore di distrazione che si aggiunge a una recitazione distante, che sembra non comprendere a pieno la natura del personaggio, e quindi quasi caricaturale.
Fanno eccezione pochi momenti di tensione drammatica: il Duca Tancredi/Lello Arena, che sprigiona la veemenza dell’onore tradito del pater familias, nell’intenso episodio di Tancredi e Ghismunda; la Badessa Usimbalda/Paola Cortellesi, la monaca libertina, portatrice di una morale terrena e pienamente boccaccesca nella novella più ilare del film, e Calandrino/Kim Rossi Stuart, interprete raffinato, che riesce a calarsi in modo mimetico e credibile nella parte dell’ignorante e del credulone.
Ma la scelta del linguaggio, un calco a tratti ammodernato del fiorentino – presente sin dal titolo – non è il solo fattore che grava sulla struttura narrativa. Maraviglioso Boccaccio non riesce a sganciarsi dall’etichetta di film scolastico nemmeno nella composizione e nella struttura del quadro: la rappresentazione dei luoghi, che pure ambisce a riabilitare nella coscienza dello spettatore quelle torri, quei castelli e quei palazzi, che costituiscono la memoria più nobile della storia architettonica italiana, è affidata a una scrittura pittorica dell’immagine, quasi il calco di un dipinto dell’epoca che, ancora una volta, ricorda la lezione di storia dell’arte del liceo.
Per quanti ne temevano il confronto, la compostezza misurata e rigorosa del film è poi pure lontanissima dal lavoro sul testo di Boccaccio fatto da Pasolini, che invece rifletteva sull’eros come forza dirompente, calandone le espressioni in una Napoli dalla sessualità liberata. Le premesse e gli approdi dei due lavori sono dunque distanti. Dal film dei Taviani, se mai, emerge la volontà di celebrare l’Italia, con i suoi contrasti e i suoi dissidi interni. Da una parte assemblando nostalgicamente i tesori del suo passato (letterari, artistici e anche musicali, con le musiche di Rossini, Verdi e Puccini, dominanti nella colonna sonora), dall’altra osservandone lucidamente i drammi, quelli generazionali dei giovani di oggi che, metaforicamente, come i novellatori, si destreggiano tra la serenità diurna della luce, in cui cercano di evadere con racconti e storie, e gli incubi della notte (moriranno? Cosa troveranno a Firenze? Verranno contagiati? Ci sarà speranza?). Un’intenzione che rimane però percepibile solo in filigrana, velata dai troppi limiti della pellicola.
Leggi la trama e guarda il trailer.
Mi piace: le architetture e i set, che portano all’attenzione dello spettatore luoghi spesso dimenticati del paesaggio italiano.
Non mi piace: lo sforzo di attualizzare il testo di Boccaccio, con una lettura generazionale della condizione giovanile, su cui grava la recitazione inadeguata e teatrale degli attori.
Consigliato a: gli studenti e gli insegnanti, ma con riserva.
Voto: 2/5
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