Maria Regina di Scozia è un film che guarda al passato per guardare al presente: un’opera di fantasmi lontanissimi nel tempo eppure vicini a noi, che setaccia la fine del XVI secolo per rintracciarvi temi ed elementi che possano agilmente fare i conti con l’oggi. Nel raccontare delle vicende di Maria Stuarda, interpretata da Saoirse Ronan, e di sua cugina Elisabetta I, che ha il volto di Margot Robbie, l’esordio alla regia dell’autrice teatrale Josie Rourke applica un procedimento forse scivoloso ma indubbiamente carico di stimoli.
La storia di Mary Stuart, già incarnata al cinema da Katherine Hepburn per John Ford nel 1936 e da Vanessa Redgrave per Charles Jarrott nel 1971, in questa nuova versione cinematografica dialoga infatti con gli spettri di una femminilità assediata da ragioni politiche, in un confronto a tu per tu che porta con sé un’ampia dose di oscurità e di cupezza. Con al centro una figura di sovrana tardo-cinquecentesca tallonata da presenze maschili ossessive e predatorie, inquiete e subalterne, in un processo di attualizzazione pressoché privo di sconti.
A sceneggiare, non a caso, c’è il Beau Willimon di House of Cards, serie che non solo ha affrontato le traiettorie del potere giocando col fuoco ma anche fatto i conti, in maniera serrata e ravvicinata, con la rimozione forzata di Kevin Spacey in seguito agli scandali sessuali che l’hanno visto coinvolto e con le esplicite conseguenze del movimento #MeToo e dei suoi strascichi. Le due regine al centro di Maria Regina di Scozia, in maniera sintomatica e non certo casualmente, si fanno anch’esse veicoli di un tempo che non sembra il loro, di proiezioni future.
Da un alto Elisabetta, regina d’Inghilterra e figlia di Enrico VIII, dal quale ereditò il regno e la monarchia anglicana britannica; dall’altro Maria Stuarda di Scozia, in grado di segnare l’immaginario collettivo ben oltre la sua esistenza terrena per via di una forza radicale di uno spirito indomito, così selvaggio da spingerla a mirare allo scettro della cugina e a sognare di impossessarsene e assoggettarlo. Fino a pagare sulla sua stessa pelle le conseguenze della sua impudenza, fino a un sacrificio catartico che sbrogliasse un groviglio di istinti bassi, rivalse popolari e problematiche storico-sociali altrimenti inestricabile.
Mentre Elisabetta fa i conti col vaiolo e con le sue fragilità rivestite d’acciaio, nel film della Rourke Maria Stuarda si abbandona alle lusinghe delle sue cortigiane e ai piaceri della carne, abbraccia il sesso e le sue pratiche spinte, apre a un omosessuale a corte, si fa bollare come meretrice e assassina delle volontà dei suoi sudditi. Richiama su di sé poche luci e tantissime ombre, remando in direzione ostinata e contraria rispetto al suo tempo, anche a costo di risultare un’emanazione medievale, perfino stregonesca.
Nell’amplificazione di tale suggestione sta la maggiore dose di fascino di Maria Regina di Scozia, che non bada alla correttezza delle pagine di Storia per intavolare un proprio vibrante approccio e donare spunti propulsivi, nuova linfa e rinnovato smalto a entrambe le sue protagoniste, immortalate in un seducente duello a distanza che lentamente e inesorabilmente raggiunge la temperatura di ebollizione. Lo fa inanellando tradimenti e cospirazioni, amplessi e pericoli, avvalendosi di due attrici molto azzeccate e volenterose, per spirito e per aderenze mimetiche ai loro ruoli.
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