Melancholia è un caso esemplare di marketing al contrario: finora si è parlato pochissimo del film e tantissimo delle deliranti dichiarazioni rese dal suo autore al Festival di Cannes. Peccato, perché di cose da dire su Melancholia ce ne sono tante. Il film parte da un disagio privato (la depressione) per contestualizzarlo prima in una satira dell’alta società borghese (il primo tempo), poi – con un cambio di tono e di ruoli che ha pochi precedenti nella storia del cinema – in un dramma catastrofista fantascientifico (il secondo tempo). Von Trier non ha mai nascosto i propri problemi psicologici né di usare il cinema come terapia. Melancholia estremizza allora la sua vocazione nichilista e misogina – oltre che anti-borghese – raccontando la storia di una ricca famiglia americana riunita in una grande villa di campagna per celebrare il matrimonio della figlia minore Justine (Kirsten Dunst). Che invece avrebbe voglia di essere altrove, e tra un padre-pagliaccio (John Hurt), una madre-arpia (Charlotte Rampling) e un fidanzato-fantoccio (Alexander Skarsgaard) finisce nel parco a far sesso con un ragazzino spaesato. Cambio di scenario. È passata qualche settimana e del neo-marito non c’è più traccia. La sposa ora è ospite della sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) e del cognato nella stessa villa, dove tenta di curare il proprio malessere. In cielo un pianeta misterioso si avvicina alla Terra pian piano: c’è chi dice che devierà all’ultimo, chi che la collisione sarà inevitabile. Man mano che l’impatto si fa più probabile i ruoli tra le sorelle si invertono: Justine riacquista vigore, mentre Claire si fa prendere dallo sconforto. Il messaggio, chiaro quanto raggelante, è che l’Apocalisse è (sarebbe) benedetta, e che la Donna ne è il tramite. Cose già dette e mostrate da Von Trier in Antichrist ma qui ulteriormente radicalizzate. Una fascinazione per la Fine che potrebbe risultare irritante, se non fosse per l’estrema ricerca estetica che permea tutto il film – dall’incipit all’epilogo – e che fa da contraltare alla spinta nichilista. E non è un caso, ma solo uno dei tanti paradossi del regista più paradossale che c’è in circolazione, che nessuno come il “misogino” Von Trier sia in grado di valorizzare e portare per mano le sue attrici, che puntualmente vengono poi premiate nei Festival.
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Lo straordinario talento di Von Trier per la messa in scena e per la valorizzazione delle sue attrici: l’idea di una Apocalisse vissuta tutta attraverso il rapporto privato di una coppia di sorelle è geniale
Non mi piace
La prima metà del film, quella più politica e convenzionale, è un po’ faticosa
Consigliato a chi
A chi non si fa spaventare dalle polemiche e ama le provocazioni, anche estreme, dei grandi artisti
Voto: 4/5
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