«Abbiamo fatto un sacco di cose intelligenti. È arrivato il momento di qualcosa di veramente stupido». In questa frase pronunciata dall’agente J (Will Smith) sta tutta l’essenza di Men in Black III – e non è un insulto, ma un complimento. Perché per resuscitare un franchise vecchio di dieci anni, e che già di per sé nasce come operazione-nostalgia, non serve molto altro: basta prendere quello che fece grandi i primi due capitoli della saga degli Uomini in nero e, in ossequio al trend seguito da molti blockbuster d’oggidì, esasperarne gli aspetti più pop e paradossali, eliminare ogni parvenza di serietà. Il risultato è un pop-corn movie tutta forma (e risate) e poca o niente sostanza; e in fondo va bene così.
Non manca nulla di quello che ci si aspetta: la bromance tra J e il ruvido K (Tommy Lee Jones, e non solo, ma ci torneremo), le pistole spaziali, i gadget fantascientifici, un citazionismo spinto che rilegge la cultura popolare sotto l’ottica della (silente) invasione aliena. Un ristorante cinese diventa il covo di un trafficante di pesci extraterrestri, il bowling della città è gestito di nascosto da un marziano con la testa a palla, persino Andy Warhol si scopre essere un Uomo in nero in incognito. Ed è proprio la presenza nel film del padre della pop-art (qui interpretato da uno strepitoso Bill Hader) che dovrebbe farvi drizzare le orecchie: cosa c’entrano gli anni Sessanta con J e K? La risposta è semplice: invece che tornare sul luogo del delitto dei primi due film – e cioè un presente popolato da alieni mascherati da umani –, lo script di Men in Black III prende di peso J e lo catapulta nel passato, nel tentativo di cambiare il corso del tempo e alterare il presente. Perché è il presente stesso a essere stato pesantemente modificato dall’intervento del boglodita Boris (un irriconoscibile Jermaine Clement), pluriomicida evaso dal suo carcere e tornato agli anni Sessanta e uccide K prima che questi possa arrestarlo e sbatterlo in un carcere di massima sicurezza.
Lo spunto è classico della sci-fi del secolo scorso, ed è anche un’ottima scusa per cambiare in parte la formula di Men in Black: invece dei costanti scambi di battute tra J e K, Barry Sonnenfeld – che qui dirige con la solita sicurezza ma senza brillare – affianca a Will Smith un nuovo/vecchio partner, cioè la versione giovane di K. Che è un Josh Brolin in stato di grazia, perfetto nell’imitare Tommy Lee Jones mettendolo al contempo sotto una luce completamente nuova: quella di un uomo non ancora indurito dalla vita e che, pur se carico del sarcasmo pungente che lo caratterizza, si lascia andare anche a sentimentalismi e sorrisi affettuosi verso il viaggiatore nel tempo J. La trama si mette così rispettosamente da parte in favore della costruzione del rapporto tra i due, che funziona alla perfezione e regala momenti di pura ilarità. Parte del merito va sicuramente alla sceneggiatura firmata Etan Cohen, lineare, coerente e sempre interessante a dispetto di qualche licenza poetica nel trattare la materia del viaggio nel tempo.
Quello che manca almeno in parte a Men in Black III è la freschezza che caratterizzava i primi due capitoli: il citazionismo arriva a diventare stucchevole, alcune battute sono prevedibili e più in generale si ha la sensazione che la slapstick comedy aliena e i dialoghi brillanti abbiano molta più importanza della storia vera e propria – che dovrebbe coinvolgere la potenziale fine del mondo, ma il cui peso apocalittico non è facile da avvertire davvero. Non che il film sia un contenitore di gag svuotato di significato: c’è comunque classe dietro all’autoreferenzialità e al divertissement, e i canonici novanta minuti scorrono leggeri e lasciano con un sorriso sulle labbra. Niente per cui impazzire, ma per essere un threequel che arriva a dieci anni di distanza dal secondo capitolo poteva andare decisamente peggio.
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Mi piace
Il nuovo sguardo al rapporto tra J e K (versione giovane) è rinfrescante e da solo tiene in piedi il film. Tecnicamente il film è ineccepibile, e le creature aliene create da Rick Baker faranno la gioia degli amanti della sci-fi vecchio stile. Ah già, il 3D: funziona, nella misura in cui non ci si accorge che c’è…
Non mi piace
La trama fa il suo mestiere ma poco di più. Il villain di turno è una macchietta funzionale alla storia: divertente anch’egli, ma dimenticabile.
Consigliato a chi
Ai fan di Men in Black: chi ha apprezzato i primi due capitoli sarà soddisfatto, chi non ha interesse nella saga non cambierà certo idea.
Voto: 3/5
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