Men in Black: International: la recensione di loland10
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Men in Black: International: la recensione di loland10

Men in Black: International: la recensione di loland10

“Men in Black: International” (id., 2019) è il decimo lungometraggio del regista produttore newyorkese Felix Gary Gray.
Dopo i primi tre capitoli (1997, 2002 e 2012) con la coppia Tommy Lee Jones e Will Smith, ecco arrivare lo spin-off con novità e vari compromessi.
Film che ha fatto storcere il naso a (quasi) tutti, che ha incassato poco negli Usa, che traduce poco in vera ironia tutto il girovagare mentale e di location.
Non siamo di fronte ad una pellicola epocale e tantomeno di grande impatto, pur tuttavia non si può disconoscere un certo tentativo di rinnovare il franchising e di rimuovere il cliché statuario per avvicinarsi al pubblico.
Il cambio del duo è evidente in tutti e i sensi, il cambio di simpatizzare con un nuovo pubblico è chiaro, la voglia di (non) strafare troppo anche.
Certo, nonostante la produzione esecutiva della Amblin e di Spielberg, si vede poco effervescenza vera e il costrutto appare forzato come le risate da cercare non certo come ‘le ultime parole famose’. Il doppiaggio ci mette il suo ma la verità è che il battibecco, quasi continuo, fra i due, H e M, appare forzato, non sempre convincente, forse banale e già in bocca a chi guarda.
Intrattenimento leggero, pomeridiano e anche con uno smacco di quasi sorriso sulla bocca. La soffusa mediocrità viene tenuta a galla da alcuni momenti spassosi tra rimandi ad altri film, conflittualità ammiccanti, sguardi in ribasso e attori non tutti a proprio agio. Il doppio gioco e la talpa del gergo cine pare quasi evidente da subito….altrimenti lo spettatore uscirebbe dopo dieci minuti o quasi. Si ha la sensazione di un set chiuso con un chimismo generale non proprio riuscito. E ciò che si racconta pare frammentario e a se stante in ogni contesto. Brillantezza, freschezza e vivacità non sono sempre in alto, con fasi di stanca e azione di piacimento. E i personaggi se perdono identità di ‘genere’ avvicinandosi troppo e interagendo con altri confini ecco che si ha la sensazione di vedere più cose senza il canovaccio principe della serie.
E sarà difficile, se il gioco dovesse continuare, imbastire un nuovo progetto senza devianze e con una storia più convincente.
Comunque tra New York, Parigi, Londra, Marrakech e Napoli gli occhiali in nero hanno il loro bel da fare. E tanto per non complicare…il capo non è sempre uno affidabile…
Trama: Molly è una ragazzina fortunata quando incontra il suo ‘alieno’ e da lì che inizia a studiare continuamente alla ricerca dei misteri dell’universo e dei Men in Black per agire e conoscere l’agenzia e tutti i suoi capi. Il duo che si forma (agente H e agente M) sposta i paradigmi del film originale e anche il titolo pare sbagliato…..con una woman in Black. Il politicamente corretto, le quote attoriali e il vizio di accontentare tutti in partenza, in realtà disturba e gli agenti in coppia non hanno buona simmetria di ruoli.
Ecco che il vestiario dice ha il suo tic e i pantaloni rosa dell’agente H immedesima il cromatismo tra scambi di identità e giustizie di parità. Asessuati o asessuali, definisce il confine presunto del film.
Chris Hemsworth: agente H, saputello, pesce infarinato, crede e fa quello che può anche quando il volante è dalla parte giusta.
Tessa Thompson: agente M, sveglia e perspicace, sa benissimo come farsi compiacere e rubare la scena agli uomini…..troppo pieni di se.
Emma Thompson: agente O, il ruolo gli si addice e anche la foga del suo comando.
Liam Neeson: agente T, sembra crederci ma il suo volto si adegua a un contesto non propriamente suo.
Rafe Spall: agente C, il più simpaticamente arrabbiato, accantonato ogni volta, le sue ragioni adirate hanno ironie da vendere.
Effetti speciali: non sempre ‘in palla’, in titubanza verso il set da costruire.
Regia: gioiosa ma non sempre efficace, pastosa e poco viva.
Voto: 6-/10 (**½) -sempre meglio che scodinzolare verso il piccolo schermo-

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